Centro San Rocco - Interventi

Un giornale per raccontare una storia diversa
Data pubblicazione : 21/03/2017
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"L’Altra chiave news", il periodico dei detenuti nel carcere di Fermo, è una finestra su un mondo in larga parte sconosciuto. Ce ne parla la giornalista Angelica Malvatani, che ha ideato e coordina l’iniziativa

La prima cosa che colpisce quando si entra in un carcere come quello di Fermo è la porta che ti si chiude pesante dietro le spalle, a segnare un prima e un dopo. Qualcosa di definitivo, qualcosa che non si recupera. La prima volta che sono entrata nel carcere di Fermo, quattro anni fa, non avevo idea di cosa avrei trovato, è un luogo praticamente nel pieno centro della città eppure invisibile, ignorato, quasi fastidioso. Un dettaglio su cui si può passare oltre, uno spazio per chi merita una punizione, per chiudere e buttar via la chiave.

Il progetto era proprio quello di creare invece un collegamento tra dentro e fuori, costruire un giornale di 12 pagine nel quale parlare e raccontare, far capire al fuori cosa c’era dentro, le storie, le persone, il dolore e la voglia di rinascita. Per dire che bisogna impegnarsi per migliorare chi sta qui dentro, perché esca e torni a far parte della società, senza più fare del male.

Avevamo pochi spiccioli, la determinazione della direttrice, Elenora Consoli, dell’educatore Nicola Arbusti, una decina di detenuti che si erano fatti avanti, una stanza libera solo il mercoledì mattina.

E un nome: L’Altra chiave, il nome del progetto che l’Ambio sociale di Fermo porta avanti all’interno del carcere finanziando corsi di formazione e iniziative di recupero e rieducazione. Una chiave diversa, alternativa, per guardare avanti e magari vedersi migliori e provare a crederci.

Da allora ci sono stati otto numeri della nostra rivista, un’infinità di detenuti che si sono alternati e raccontati, hanno litigato con il foglio bianco, hanno scritto in un italiano stentato ma efficace le loro prigioni, la tristezza di chi si sente condannato due volte, dal tribunale e dal resto del mondo, perché una seconda possibilità difficilmente ti viene concessa.

C’era Bruno che aveva quasi ucciso sua moglie e si odiava per questo, lui che aveva vissuto una vita piena e con un ruolo sociale molto importante. Fondamentale il suo apporto, per aiutare chi non riusciva a scrivere, per sostenere ogni nostra idea, con la sua calma e la ritrovata serenità dopo un lungo lavoro di ricostruzione. E dopo il perdono che alla fine è arrivato, per quella donna che ha saputo voltare pagina e lasciar andare un uomo che ha pagato il suo debito fino in fondo. Oggi Bruno è libero e collabora ancora con le nostre pagine, nella certezza di aver avuto uno spazio importante per la nascita del giornale.

C’era e c’è ancora Francesco, una vita meravigliosa sprecata nella droga, un talento per il disegno nelle mani che oggi sono più lente ma ancora geniali. Suo il logo del giornale e le illustrazioni, oggi sono sue anche le immagini del numero 8, realizzato tutto, impaginazione compresa, dietro le sbarre grazie alla capacità di Francesco e al regalo del Rotary club di Fermo che ci ha fornito di stampante e scanner e di un programma di disegno efficace.

C’era Badru che parlava degli stranieri, arrestati e dimenticati, senza famiglia, senza nessuno che porta un cambio di abiti, un pensiero, un abbraccio.

E ci sono tutti gli altri, ciascuno con una storia diversa, figli di un disagio che non si è saputo cogliere prima che tutto precipitasse, prima che si arrivasse a commettere quell’errore e poi un altro e un altro ancora. E alla fine il conto arriva sempre. Anche quando avevi cominciato a costruire una vita diversa e tutto torna al punto di partenza.

Negli anni la cosa bella è stata costruire un rapporto e una collaborazione con le scuole, si va ad incontrare i ragazzi per spiegare loro quant’è facile cadere, quant’è difficile rialzarsi, quant’è dura avere una condanna che ti apre le porte del carcere. Da qui non ne esci mai, lo dicono i detenuti, puoi andartene fisicamente ma per chi sta fuori tu quelle mura non le lasci mai e resti galeotto.

I ragazzi più grandi, dall’Itet Carducci Galilei, sono entrati in carcere e hanno incontrato la redazione, qualcuno ha pianto, hanno guardato le celle con sgomento, col terrore di chi si rende conto che qui devi chiedere il permesso per tutto, per fare una doccia, per leggere, per guardare la televisione, per telefonare ad una persona cara, persino per scendere dal letto se sei in una cella particolarmente affollata e allora si sta in piedi a turno.

Costretti a convivere, con storie e disagi diversi, con i disturbi psichiatrici di qualcuno, con la paura di non farcela. E col dolore dei familiari che vengono a colloquio e piangono, aspettano, sperano in un domani migliore.

Noi abbiamo provato e proviamo ancora a dare voce a tutto questo, per dire soprattutto ai giovani che la vita va vissuta in pieno, rispettando le regole, evitando scorciatoie, costruendo, sacrificando, scegliendo anche il percorso più difficile per arrivare però più lontano. Nella luce, dentro stanze che non hanno porte pesanti, tenendo ben stretta in mano la chiave per uscire.

 

Angelica Malvatani

13 Marzo 2017

 

Scarica il numero 8 de "L'Altra chiave"

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