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La cura della terra nelle aree geografiche a fragilità ambientale
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Per la rinascita del nostro territorio ferito non basta ricostruire le case, ma è necessaria anche una buona agricoltura. La rinascita delle zone montane è stato il filo conduttore degli interventi che hanno animato, a Penna San Giovanni, la 12^ Giornata del Creato

Convegno_ambiente_08-10-2017-2Come ogni anno, l’iniziativa che si svolge la seconda domenica di Ottobre nel teatro “Flora” di Penna San Giovanni costituisce un appuntamento importante per proporre riflessioni sulla custodia dell’ambiente, in linea con “la Giornata della Custodia del  Creato” Istituita dalla Chiesa Cattolica Italiana, che si celebra il 1° Settembre. Questa iniziativa è proposta e realizzata dall’Associazione Culturale “Centro studi Giuseppe Colucci” e dall’Ufficio della Pastorale del Sociale e del Lavoro  dell’Arcidiocesi di Fermo.

 Per descrivere i contenuti del convegno di quest’anno, “La cura della terra nelle aree geografiche a fragilità ambientale”, partirei dalla definizione del significato filosofico ed artistico della parola fragilità proposta da Don Paolo Bascioni:  essa è intesa come ciò che si rompe facilmente, che è delicato perché prezioso, per il valore che l’oggetto rappresenta per me.  Anche le persone fragili sono preziose per i progetti straordinari che  con la loro vita possono realizzare.

  Infatti la prima fragilità evidenziata nell’incontro è proprio la “fragilità umana” di San Giuseppe da Copertino, raccontata da Padre Roberto Brunelli che, descrivendone la vita, ha sottolineato come la sua ingenuità, le sue esitazioni nella vita pratica, le sue difficoltà nello studio per la mancanza di memoria, l’essere considerato dagli altri e da se stesso un asino non sono state ostacolo per una fede bella, adornata dalla pazienza di dover subire continue umiliazioni; un abbandono totale a Dio che lo ha portato alle Estasi ed a contatti ravvicinati con Lui, a considerare Maria come la sua vera madre, ad essere Santo e a santificare gli ambienti naturali in cui viveva.  

Indurre i presenti al Convegno a pensare alla fragilità del nostro “ambiente” come alla fragilità di un oggetto prezioso e importante per la vita di ognuno di noi ha contribuito a far percepire l’importanza che l’armonia e l’equilibrio  siano tutelati e custoditi, fin dalle origini e per mezzo del lavoro dell’uomo realizzato nei secoli; appartengono ad ogni territorio perché possa essere la casa di tutti e per tutti. E’ a questo proposito che nella seconda relazione  “Perché ricostruire non è sufficiente”, vengono evidenziate alcune condizioni indispensabili perché la ricostruzione non sia effimera: il geologo Andrea Antinori nel suo intervento  “La fragilità geologica e l’insostenibilità della spoliazione della montagna Appenninica” denuncia il fatto che nel nostro mondo, a livello economico, finora si è scelto di promuovere lo sviluppo di un centro a discapito delle periferie. Egli dimostra questa tesi portando ad esempio tre situazioni:

  • lo spopolamento dell’area appenninica, avvenuto perché si è investito di più sull’area economicamente più vantaggiosa (la costa), cercando di sfruttare le risorse della montagna a vantaggio delle popolazioni costiere;
  • la ricostruzione dopo il terremoto: in Emilia Romagna, dopo un anno, delle 22 aree rosse ne sono state rivalutate 16; nel nostro Appennino, dopo un anno, sono ancora presenti tutte le macerie;
  • la condizione del suolo, che e’diventato sempre più impermeabile e poco fertile per promuovere un’agricoltura di collina  in grado di competere economicamente  con l’agricoltura delle grandi  pianure.

Quest’ ultimo fenomeno è stato sottolineato anche dal  prof. Fabio Taffetani, studioso della natura, che  evidenzia il cambio dei paesaggi con l’avvento dell’agricoltura industriale:  la crescente meccanizzazione ha favorito l’annullamento del rapporto tra il contadino e la terra, utile al mantenimento della fertilità dei terreni e della stabilità delle colline. Pensando ai paesaggi della montagna, egli afferma come la ricchezza di questi territori sia nell’abbondanza delle acque e nell’alternanza di boschi e praterie. Dal dopoguerra ad oggi, però, abbiamo assistito ad un cambiamento del paesaggio:  nella zona dei Sibillini si è avuto un esodo della popolazione per la perdita di molte attività agricole e di allevamenti montani che riuscivano a mantenere in vita  le praterie, contenendo ogni tipo di biodiversità. Ora molte praterie sono diventate boscaglie, nelle quali non è possibile nessun tipo di attività, che aggravano anche il rischio idrogeologico. Un altro aspetto importante per dimostrare che non basta ricostruire, anche se necessario, lo offre Il ruralista e scrittore Roberto Brioschi. Egli  sottolinea la necessità di pensare alla ricostruzione come ricostruzione di relazioni, ripopolamento delle aree anche con nuove cittadinanze, da cui gli amministratori attingano nuovi saperi e a cui si insegnino i vecchi saperi che hanno fatto la storia di quei territori, affinchè l’antico ed il nuovo si armonizzino nella creazione di progetti futuri. Brioschi propone che, pur nella mancanza del rispetto del patto di alleanza tra lo stato e il cittadino, si chieda allo Stato il ripristino e l’efficienza delle vie di comunicazione nelle zone montane e la creazione di nuovi ponti internet. Partendo dalla dimensione locale gli amministratori, magari sorretti da leggi, recuperino aree demaniali e territori agricoli abbandonati concedendone l’utilizzo a giovani, ad immigrati ed, in genere, a chi crede in questi progetti. Sostenuti dalle nuove conoscenze e dalle relazioni con il territorio, essi potranno attivare aziende agricole, coltivando  nel  rispetto dei suoli. Si proceda anche con esperienze di co-housing, in cui sperimentare nuovi modelli di vita basata sulla  socialità, condivisione, collaborazione e stili di vita sostenibili. Nella ricostruzione  si pensi ad un turismo che permetta alle persone di godere delle ricchezze della natura dei Monti Sibillini, delle relazioni e dei beni che una buona agricoltura e la rinascita dell’artigianato sapranno offrire. E’ importante ricostruire la storia dei borghi ed i borghi stessi, perché, attraverso le piazze ed i luoghi di socializzazione, promuovono la spiritualità dell’uomo.

L’urgenza è quella di cambiare il modello di vita e di capire che le zone montane vanno rispettate per la loro natura. Dobbiamo essere molto attenti e puntuali nella formazione delle leggi e dei regolamenti, per non favorire gli interessi delle varie lobbies politiche ed economiche: s’impone quindi la necessità di un organismo capace di controllare, perché nasca una pressione dal basso su chi gestisce i nostri territori. Ma la responsabilità appartiene anche ad ogni cittadino, che ha il dovere di chiedere, diffondere e prendersi cura

 

Anna Rossi

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