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Notiziario Santa Vittoria

LA PAROLA A CURA DI DON ALESSANDRO

IV DOMENICA DI PASQUA 26 APRILE 2015

Atti 4,8-12; Sal 117; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

Per capire l’importanza che ha nella Bibbia il tema del pastore, bisogna rifarsi alla storia. Israele fu, all’inizio, un popolo di pastori nomadi. I Beduini del deserto ci danno oggi un’idea di quella che fu un tempo la vita delle tribù d’Israele. In questa società, il rapporto tra pastore e gregge non è solo di tipo economico, basato sull’interesse. Si sviluppa un rapporto quasi personale tra il pastore e il gregge. Giornate e giornate passate insieme in luoghi solitari, senza anima viva intorno. Il pastore finisce per conoscere tutto di ogni pecora; la pecora riconosce e distingue tra tutte la voce del pastore che spesso parla con le pecore. Questo spiega come mai Dio si è servito di questo simbolo per esprimere il suo rapporto con l’umanità.
Accanto all’immagine del Buon Pastore fa la sua comparsa quella del cattivo pastore, del mercenario. Nel libro del profeta Ezechiele troviamo una terribile requisitoria contro i cattivi pastori che pascono solo se stessi; si nutrono di latte, si vestono di lana, ma non si curano minimamente delle pecore che trattano anzi con crudeltà e violenza. E' la descrizione dal vivo del tiranno e dell’oppressore di tutti i tempi. A questa requisitoria contro i cattivi pastori segue una promessa: Dio stesso un giorno scenderà a prendersi amorevole cura del suo gregge (cfr. Ezechiele 34,1 e ss).
Gesù nel Vangelo riprende questo schema del buono e del cattivo pastore, ma con una novità: «Io dice sono il Buon Pastore!». La promessa di Dio è diventata realtà, superando ogni attesa. Cristo fa qualcosa che nessun pastore, per quanto buono, sarebbe disposto a fare: «Io offro la vita per le pecore». Per me — e, penso, per tanti — le parole sul Buon Pastore che ricerca la pecora perduta, fascia quella ferita, prende in braccio quella affaticata, non sono solo dei quadretti poetici, ma esperienza vissuta. Quante volte mi sono ritrovato ferito, non nel corpo ma nell’anima, non per colpa di altri ma per colpa mia, e mi sono sentito davvero amorevolmente raccolto, curato e rimesso in piedi da Cristo! Il Vangelo del Buon Pastore lo si capisce meglio vivendolo che sentendolo commentare...
Perché Gesù si è appropriato di un’immagine che risulta così compromessa nell’esperienza umana? Perché si definisce pastore e chiama noi suo gregge? Non teme, chiamandoci sue pecore, di urtare la nostra sensibilità, e di offendere la nostra dignità di uomini liberi?
Il fatto è che l’uomo d’oggi rifiuta sdegnosamente il ruolo di pecora e l’idea di gregge, ma vi è dentro in pieno. Uno dei fenomeni più evidenti della nostra società è la massificazione. Stampa, televisione, Internet, si chiamano mezzi di comunicazione di massa, mass-media, non solo perché informano le masse, ma anche perché le formano, le creano, massificano. Senza che ce ne accorgiamo, noi ci lasciamo guidare supinamente da ogni sorta di manipolazione e di persuasione occulta. Altri creano modelli di benessere e di comportamento, ideali e obiettivi di progresso, e noi li seguiamo; andiamo dietro, timorosi di perdere il passo, condizionati e plagiati dalla pubblicità. Mangiamo quello che ci dicono, vestiamo come ci insegnano parliamo come sentiamo parlare, per slogan. Il criterio da cui la maggioranza si lascia guidare nelle proprie scelte è il «così fan tutti».
Il Buon Pastore che è Cristo ci propone di fare con lui un’esperienza di liberazione. Appartenere al suo gregge non è cadere nella massificazione, ma esserne preservati. «Dove c ‘è lo Spirito delSignore, lì c’è libertà» (2 Cor 3,17), dice san Paolo. Lì, cioè, emerge la persona con la sua irripetibile ricchezza e con il suo destino vero. Emerge il figlio di Dio ancora nascosto, di cui parla la seconda lettura della Messa di oggi: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli. di Dio, maciò che saremo non è stato ancora rivelato».
Il Vangelo non ci promette di cambiare l’attuale società «di massa»; non è il suo compito e neppure ha bisogno di farlo. Esso ci aiuta invece a mettere un’anima in questa società, a far sì che anche in essa l’individuo e la famiglia preservino un loro spazio inviolabile di libertà e intimità. Il criterio di chi si lascia ispirare dalla parola di Cristo non è «così fan tutti», ma «così è bene fare».
Lungi dal mortificare la nostra personalità, Gesù Buon Pastore, l’aiuta dunque a crescere; egli ci personalizza con la sua conoscenza e col suo amore; fa nascere da noi la creatura nuova, consapevole e forte, quella che il mondo non può manipolare o intimidire perché non è più sotto la sua presa. Facciamo nostre dunque con rinnovata convinzione le parole del Salmo 22 e diciamo anche noi: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla... 

BUONA DOMENICA

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