Centro San Rocco - Interventi

Giovani, interiorità e lettura
Data pubblicazione : 07/07/2018
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L’alfabeto interiore svelato dagli scrittori - di Guglielmina Rogante

Si leggeva di più una volta. Leggevamo di più. Senza molte possibilità di viaggiare, di avere internet e relative connessioni e tant’altro che la recente modernità propina a piene mani, le estati erano le estati dei libri. Leggevamo di tutto, dagli scrittori russi agli americani, agli italiani, da “Guerra e pace” a “Il vecchio e il mare” a  “Cronache di poveri amanti” (che finiva per deluderci raffrontato agli altri),  macinavamo l’afa estiva con queste compagnie. Questo era lo svago, senza porci problemi di scelta, perché molte scelte non c’erano. Crescevamo in maniera involontaria in compagnia di personaggi più o meno vicini al nostro sentire, ai nostri ideali. Poi talvolta accadeva che un autore, spesso un poeta, ci segnava a vita perché nelle sue opere trovavamo specchiate le nostre angosce, i pensieri terribili, gli adolescenziali desideri smisurati, l’insofferenza del quotidiano.  A molti è accaduto leggendo i poeti francesi, Baudelaire e ancor più Rimbaud. Da insegnante ho visto molti autori moderni, ma anche l’antico Petrarca leggendo in classe la sua Ascensione al monte Ventoso, agguantare l’animo di qualche alunno che attraversava le stesse inquietudini. E l’alunno che, con quelle inquietudini che gli turbinavano dentro, fino allora s’era sentito un marziano, si riconosceva e si conosceva dentro i personaggi e i sentimenti dell’autore e si placava, perché specchiato in quello dell’autore, il proprio vissuto diventava  accettabile, anzi privilegiato dal momento che qualcuno ne aveva fatto materia letteraria. Questo è il punto. Trovare il modo di riconoscersi e conoscersi per placarsi, per viaggiare nel mondo con discreta sicurezza perché si è ancorati a un io profondo magmatico sì, ma né fuggevole, né respinto.

Oggi è sempre più difficile per il giovane conoscersi nelle pieghe profonde della propria personalità. Perché la quotidianità è un turbine velocissimo e ogni giorno l’individuo è sollecitato da una miriade  di messaggi che ne risvegliano la parte più materiale e istintiva, anestetizzando il pensiero riflessivo, sbarrando le porte  allo scavo interiore.

La lettura della narrativa e della poesia (la seconda più ardua, ma per gli animi sensibili molto attraente) è invece una delle strade elette alla conoscenza dell’ interiorità; interiorità che vuol dire inclinazioni, angosce, vocazioni,  desideri, ambizioni, esuberanze e insufficienze,  un mix complesso, ma la cui coscienza fa affacciare e viaggiare nel mondo con minor ansia d’essere delle canne al vento, anche se sul piano filosofico lo si è. Cosa succede? Lentamente (perché la lettura è lenta, lentissima rispetto alla maggior parte delle attuali attività), pagina dopo pagina, per giorni, il lettore segue la trama e assiste al disvelamento dei personaggi nel loro essere e nel loro esistere nel mondo; ed essi gli diventano, più o meno, speculari. Il giovane vi si riconosce e conosce  o distingue, specchiata nelle pagine, la geografia della propria interiorità, i dubbi e i conflitti, spesso compressi e ricacciati indietro dai sensi di colpa o semplicemente dalla confusione degli stati interiori. Pensiamo alla “Lettera al padre” di Kafka. Quanti giovani  vivono un intricato nodo conflittuale coi genitori, di cui non sanno trovare il bandolo perché il sentire è un coacervo  frammisto di paura, di amore, di odio per il vero o immaginato giudizio sulla loro persona, sulle loro scelte, sui loro ideali? Kafka snoda tutto l’intricato gomitolo in una trentina di paginette, che non diede mai al padre, ma che “sciolsero” nella parola scritta (come dice Ungaretti) la fragilità emotiva, le domande, le  recriminazioni e gli accorati appelli del giovane scrittore schiacciato dalla personalità forte e materiale del padre. Il testo diventa per ogni adolescente uno specchio per trovarsi e avere il coraggio di sentirsi ‘altro’ da chi lo ha generato, ‘individuo’ pronto per un’ ‘altra storia’ rispetto a quella costruita dai genitori. E, ancora, chi meglio di Anna Karenina può introdurre nei labirinti della passione e dell’amore, nella sua volubilità e schiavitù? Oggi che l’amore, libero da regole morali e sovrastrutture, è volubilissimo e, per questo, destabilizzante fino a generare le violenze più inaudite? Tutto perché l’uomo non sa più affidare l’istinto alla parola, propria o altrui. La parola bonifica l’ingarbugliato, il dirompente; per capirci con un esempio tramuta la violenza in sofferenza,

Si sa che tra l’adolescenza e la giovinezza si protrae tutto un processo di formazione quanto mai complesso e affascinante, ma anche delicato, in cui al plasmarsi della persona e al costruirsi delle fondamenta della sua storia contribuiscono non tanto la famiglia, quanto il mondo esterno che si concretizza in incontri, amicizie, maestri, attività di gruppo, infine, e non ultime, letture. Fondamentali a capire e valorizzare le occasioni, a cogliere le proprie passioni sono i romanzi di formazione. Il romanzo di formazione è la storia del diventare adulti, dell’emergere delle propensioni e dell’incanalarle in tentativi, come dire ‘fare le prove per la vita’. La letteratura recente ci offre molti romanzi di formazione. Ma non posso non ricordare un grande classico di questo genere letterario: “Un uomo finito” di Giovanni Papini. Papini è stato un intellettuale fervido e fortemente anticonformista della prima metà del Novecento, fondatore di riviste a poco più di vent’anni. Affascinante il racconto della sua formazione: letture voraci, falsificazione del proprio documento d’identità per entrare in biblioteca, tentativi di compilazione di enciclopedie, desiderio di strafare, slanci mistici e cadute angosciose. Quando ne provai la lettura di qualche pagina, in classe, capii dall’espressione quanto qualcuno fosse calamitato e si riconoscesse in quel traballante, ma promettente, modo  di essere.   Tra i moderni credo siano ottimi compagni di viaggio nella formazione due libri del giovane scrittore e documentarista Paolo Cognetti: “Il ragazzo salvatico” e  “Le otto montagne” (vincitore del premio Strega), ma anche il suo blog. Cognetti, tra gli altri, ha vinto il premio “Lo Straniero” perché “uno dei più attenti a sentire e narrare il disagio delle nuove generazioni e gli anni difficili dell'adolescenza di questi anni, di fronte a un contesto di incerta sostanza e di sicurezza precaria”. I giovani protagonisti di Cognetti si provano e si conoscono; conoscono l’amicizia e gli uomini, e la verità sui genitori in montagna, lontano dalle città rumorose e dalle connessioni. E’ un antico e progressivo imparare a sentire i sentimenti, propri e altrui, a sentire se stessi mentre si apprendono cammini di resistenza fisica e psicologica, a capire gli altri nei loro segni lasciati.

Il giovane lettore, confuso e derubato del suo silenzio da mille messaggi e richiami, nei libri di Cognetti come di altri può imparare a  sfogliare il vocabolario delle parole fondanti della vita partendo dalla parola amicizia, proseguendo con la parola natura, giungendo alla parola solitudine, mai desistendo dalla parola ricerca.

 

Guglielmina Rogante

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