Centro San Rocco - Interventi

Un Popolo nella Storia
Data pubblicazione : 08/11/2015
Foto sommario

Una recensione dell'ultimo libro di don Enrico Brancozzi sulle questioni ecclesiologiche del Concilio Vaticano II che sarà presentato al Centro San Rocco il prossimo 13 Novembre. - di Francesco Sandroni

Enrico Brancozzi, Un popolo nella storia. Introduzione alle questioni ecclesiologiche del Concilio Vaticano II, Cittadella Editrice, Assisi, 2015, pp. 319, € 22,50.

 

A cinquanta anni dalla fine del Concilio Vaticano II Enrico Brancozzi pubblica uno studio sulle questioni ecclesiologiche del Concilio dai risvolti davvero interessanti. Il volume nasce dai corsi di ecclesiologia tenuti dallo stesso A. all’Istituto Teologico Marchigiano, i quali, si afferma nella Prefazione, hanno sempre avuto la necessità di essere introdotti da alcune lezioni che chiarissero alle nuove generazioni l’importanza fondamentale del Concilio Vaticano II nella teologia e nella vita della Chiesa. L’analisi, però, affrontata dall’A. non riguarda soltanto una semplice introduzione quanto un vera e propria analisi critica dell’intera questione ecclesiologica del Concilio, allargandosi alla ricezione del Concilio stesso fino alle questioni contemporanee in prospettiva del prossimo futuro ecclesiale.

L’analisi non poteva non partire dalla questione ermeneutica, posta dal famoso discorso alla curia romana di Benedetto XVI nel 2005 e ampiamente dibattuta in questi dieci anni, verso la quale Brancozzi prova a ricostruire il dibattito senza chiuderlo, però, in risposte sicure ma lasciandolo aperto verso una pluralità di “sentieri” di ermeneutica conciliare. L’A. continua mostrando il linguaggio nuovo inaugurato dal Concilio ponendolo in relazione con il precedente linguaggio del magistero. La maturazione del nuovo “genere letterario” fa da chiave di lettura all’intero corpus conciliare, definendo il nuovo “stile” come uno dei paradigmi interpretativi dei testi conciliari. I due capitoli successivi presentano i pontefici del Concilio: Giovanni XXIII e Paolo VI. Due figure molto diverse ma ugualmente determinanti per l’elaborazione e il significato del Concilio. Presentazione dei pontefici molto accurata e non scontata che dà il tono della qualità del lavoro di Brancozzi.

Nei capitoli successivi si analizzano i due documenti che fondano l’ecclesiologia conciliare: Lumen gentium e Gaudium et spes. Rigorosamente le due “Costituzioni” vengono presentate a partire dalla loro formazione, dai documenti preparatori per arrivare al testo definitivo. Nella Lumen gentium fondamentale è la categoria teologica del “popolo di Dio”, che l’A. riprende anche nel titolo dell’opera, attraverso la quale è possibile percorrere l’intero spazio ecclesiologico del Concilio, dalla natura sacramentale della Chiesa al sacerdozio battesimale, dall’ecumenismo al dialogo interreligioso, dalla collegialità episcopale alla riscoperta del laicato: un popolo pellegrinante nel mondo verso la patria celeste.

Anche per la Gaudium et spes l’A. utilizza una chiave di lettura, quella della “pastoralità”. Documento esplicitamente indicato dagli stessi padri conciliari come “pastorale” declina questa sua caratteristica non solo nelle finalità e nello stile narrativo quanto anche nel modo di leggere il rapporto Chiesa-mondo: la chiesa, infatti, è vista come presente “nel” mondo contemporaneo, ne legge i segni dei tempi e interpreta evangelicamente la storia del mondo come storia di salvezza. Interessante, in questa linea, è il recupero che l’A. fa della seconda parte del documento conciliare, quello che si occupa dei problemi più urgenti e ritenuta la parte più datata dell’intero documento, normalmente trascurata dai suoi analisti. Brancozzi si chiede se la inevitabile obsolescenza del documento comprometta la validità dello stesso e risponde affermando che, se lo si considera dal lato programmatico, rimane ancora un sentiero interrotto più che un sentiero vecchio.

Nella seconda parte l’A. analizza i risvolti contemporanei dell’ecclesiologia conciliare. A partire dalla questione sinodale. Una analisi puntuale e approfondita, quella di Brancozzi, sia dal punto di vista storico che teologico, che vede nella mancanza di “carattere disciplinare e attuativo” il vero problema della sinodalità della chiesa a tutti i livelli: ci si consulta ma non si decide insieme. A seguire una riflessione sulla (mancata) centralità della chiesa locale nel dopo concilio, a partire dai testi conciliari fino alla Communionis notio: da leggere le riflessioni sulla totale irrilevanza della chiesa locale nella selezione dei vescovi.

Infine due capitoli su due soggetti ecclesiali che hanno cambiato radicalmente, negli ultimi decenni, la propria consistenza storica e culturale: il mondo e i preti. Il mondo, almeno quello occidentale degli anni ’60 del XX secolo, così sicuro di sé nel suo progresso economico e sociale, non esiste più e al suo posto è subentrato un decadente mondo liquefatto nelle derive nichiliste della post-modernità: l’“autonomia delle realtà terrene”, conquista del Vaticano II, rischia di essere accantonata dalla richiesta di sostegno ecclesiale da parte del mondo stesso. Discorso, diverso ma simile, per i preti del XXI secolo: sono cambiati così tanto, non solo in quantità, che continuare a pensare a loro come i “funzionari” del sacro o delle cose ecclesiali è un anacronismo che potrà costare caro alla chiesa: la scelta di utilizzare preti provenienti dai paesi del sud del mondo come spesso si usa fare oggi non solo non risolve il problema ma lo aggrava perché lo rinvia a tempi più lontani e sempre più difficili per risolverlo.

Insomma la questione della ricezione del Concilio Vaticano II è diventata sempre più difficile e complessa. Non solo il metodo up down, che ha caratterizzato il rinnovamento conciliare, ha delle difficoltà proprie difficilmente superabili ma è il contesto sociale, culturale, umano ad essere così velocemente cambiato negli ultimi cinquanta anni che ha disorientato gli stessi fedeli e le autorità ecclesiali nel tentativo di vivere appieno le esigenze del rinnovamento ecclesiale.

Se posso permettermi delle considerazioni personali frutto della lettura del libro non posso non sottolineare la profonda sinergia delle chiavi interpretative che l’A. ha utilizzato nella lettura dei due testi conciliari: “popolo di Dio” e “pastorale”. La riscoperta dell’immagine “popolo” per indicare la Chiesa, a discapito della più recente “comunione”, non è solo un omaggio alle immagini originarie del Vaticano II o semplicemente un richiamo al linguaggio biblico ma una riscoperta della dimensione “pastorale” dell’agire ecclesiale. Il popolo, nel linguaggio comune ma non solo, non è altro che la massa di coloro che sono più svantaggiati, più poveri e più ignoranti. È la parte dei cittadini che manifesta i bisogni ma, soprattutto, è quella nella quale risiedono le energie più originarie e genuine per poterli soddisfare. È per questo che nella cultura moderna occidentale la “sovranità” appartiene al popolo. Mentre la comunità (come la nazione) esprime un soggetto chiuso in se stesso, il popolo un soggetto aperto, attivo e attento ai bisogni dei più svantaggiati dai quali origina la sua soggettività. La Chiesa popolo di Dio, allora, si caratterizza come soggetto pastorale attivo e aperto a discernere i segni dei tempi nel mondo e nella storia, camminando verso il Regno di Dio. È forse questa la vera eredità del Concilio Vaticano II che invita il suo popolo ad aprire le porte e uscire nei sentieri di confine e nei vicoli delle periferie, dove i pastori odorano di pecore e le pecore danno senso e risorse all’opera dei pastori.

 

Francesco Sandroni

indietro

Calendario

Nessun evento previsto

Copyright 2015 Centro Culturale San Rocco - centrosanrocco@fermodiocesi.it

Fondazione Terzo Millennio - P. Iva 02061590440