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Promuovere l'ordine e il decoro nella "casa di Dio"

Massimo del PozzoIntervista al Prof. Massimo del Pozzo

ROMA, giovedì, 25 novembre 2010 (ZENIT.org).- Il rev. prof. Massimo del Pozzo, docente di profili giuridici della liturgia della Chiesa presso l’Istituto liturgico della Pontificia Università della Santa Croce, ha appena pubblicato: «Luoghi della celebrazione “sub specie iusti”. Altare, tabernacolo, custodia degli oli sacri, sede, ambone, battistero e confessionale» (Giuffrè Editore, Milano 2010, pp. 420) che esamina la componente di giustizia insita in tali significative realtà sacre.

ZENIT lo ha intervistato.

Perché ha deciso di scrivere questo libro?

Prof. del Pozzo: Dopo aver affrontato lo studio della liturgia in chiave giusrealista con un taglio molto teorico e astratto (La dimensione giuridica della liturgia. Saggi su ciò che è giusto nella celebrazione del mistero pasquale) ho sentito l’esigenza di confrontarmi con la materialità liturgica, con la concretezza delle cose sacre per verificare la validità e rispondenza di tale impostazione. Per la verità ho cominciato ad interessarmi all’altare quasi come esercitazione pratica, vista la stimolante esperienza e la fecondità del terreno, l’attenzione si è poi estesa all’ambone, alla sede e al tabernacolo. A quel punto, ho deciso di completare l’analisi oltre il polo eucaristico. L’idea di un volume si è configurata strada facendo...

Qual è la proposta o il messaggio di fondo del volume?

Prof. del Pozzo: È un invito a scoprire la dimensione giuridica insita nella relazionalità celebrativa delle res sacrae. Prima durante e dopo l’azione liturgica lo strumento è vincolato alla sua destinazione cultuale. La dignità del culto ha perciò un riflesso decisivo sulla predisposizione, lo sviluppo e la custodia del tempio cristiano. Il problema è che talora si smarrisce il valore del segno e il senso della spettanza. I principali luoghi della celebrazione non sono elementi qualsiasi, affidati alla libera creatività degli architetti o degli artisti, sono essenzialmente beni della comunione. La cura della chiesa dunque – anche in quanto edificio – non è un affare privato del prete, interessa tutto il popolo di Dio. Promuovere la “formazione liturgica integrale” (nella quale si inserisce a pieno titolo anche il diritto) non a caso è la via maestra tracciata dalla riforma conciliare.

A proposito della riforma liturgica, molte chiese moderne sembrano aiutare poco la preghiera...

Prof. del Pozzo: Certo chiese garage, altari squallidi, tabernacoli poveri, amboni precari, battisteri insignificanti poco hanno a che vedere con lo splendor liturgiae richiamato dal Papa. Penso però sia sbagliato addebitare la scadente qualità di alcune realizzazioni o adeguamenti recenti (ci sono parecchie eccezioni) agli esiti del “rinnovamento-ripristino” auspicato dal Concilio. Il problema non è legato certo ai contenuti della riforma ma alla vitalità culturale della fede, all’attuazione pratica dei principi. Bisogna aver presente – acquisizione purtroppo non sempre seguita in sede progettuale – che l’esterno della chiesa nasce in funzione dell’interno e non viceversa. Altare, tabernacolo, custodia degli oli, sede, ecc. non sono integrazioni o arredi della costruzione ma i punti cardinali dello spazio sacro. L’impostazione dei luoghi della celebrazione richiede pertanto competenza, sensibilità e gusto (non solo artistico) da parte degli operatori e attenta vigilanza da parte dei Pastori.

Può spiegare al lettore comune che cosa significa “sub specie iusti”?

Prof. del Pozzo: Significa: secondo la prospettiva del giusto. La formula adoperata cerca di svelare l’intento del lavoro o almeno di evitare un equivoco. Quando si parla di dimensione giuridica della liturgia in riferimento all’arte sacra alcuni pensano subito alla definizione di canoni o di regole. Il canonista però non è tanto il tecnico della norma o il custode dell’ordine costituito quanto il garante della giustizia dei rapporti ecclesiali. L’espressione sub specie iusti allude allora al tentativo di ricostruzione del profilo giuridico (ciò che è giusto) insito nella natura delle res sacrae considerate al di là dell’insieme di dettami o di precetti positivamente stabiliti. La ricercatezza della dizione mi auguro serva ad anticipare la “sorpresa” di un approccio non troppo familiare né ai canonisti né ai liturgisti. Mi sembra inoltre che tale terminologia aiuti a cogliere il fattore giuridico come parte costitutiva della realtà liturgica.

L’orientamento dell’altare è una questione assai dibattuta, ha preso posizione sul tema?

Prof. del Pozzo: No, e non ho inteso farlo dal momento che non esiste un “assoluto deontologico”. Se si prescinde dalla concreta valutazione dei luoghi e delle situazioni si rischia di commettere scempi e arbitri. Il discorso è invero molto articolato e complesso La preferenza disciplinare e pastorale attualmente accordata alla soluzione frontale non significa disconoscere le ragioni e la liceità di un orientamento diverso, basti solo pensare alle profonde convinzioni dell’allora Card. Ratzinger. Le “guerre di religione” sulla posizione dell’altare (coram populo o versus absidem) tradiscono invero una certa rigidità e chiusura che mi pare perniciosa e controproducente. È ben noto, come ha ribadito espressamente la Congregazione per il Culto (25.IX.2000), che il vero e unico orientamento del sacerdote e dell’assemblea è versus Deum. L’invito è quindi a superare gli steccati pregiudiziali e pensare soprattutto alla qualità e al rispetto per la mensa sacrificale.

Perché dedica tanta attenzione alla custodia degli oli sacri?

Prof. del Pozzo: L’importanza di un oggetto non si misura certo dal numero di pagine! All’ambone, che pure è il fulcro della liturgia della parola, si dedica ad esempio meno spazio. L’ordine d’elencazione seguito dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dal relativo Compendio comunque non è privo di una sua logica. L’unzione è indubbiamente il segno più diffuso e rappresentativo nell’economia sacramentale e gli oli santi comportano un immediato riferimento pasquale e gerarchico. Purtroppo nelle comunità parrocchiali, anche a motivo della minor visibilità, frequentemente si è persa la coscienza, e chiaramente il senso di ossequio, del sito degli oli. Ben pochi fedeli, anche fervorosi, sanno dov’è il crisma e penso che non sia un fatto incoraggiante e positivo. Sta di fatto che custodia, ambone e sede – forse perché poco considerati dal Codice – sono quasi ignorati dalla dottrina canonistica, una certa attenzione ritengo invece possa risultare utile.

Non è esagerato parlare di un “diritto al confessionale”?

Prof. del Pozzo: No, tanto il fedele tanto il sacerdote, come ha precisato un’interpretazione autentica, hanno un vero e proprio diritto ad avvalersi del confessionale munito di grata fissa. Chiaramente la modalità di svolgimento dell’azione è funzionale all’amministrazione del sacramento del Perdono. In questo caso comunque sono in gioco valori di riservatezza, disinibizione e prudenza, che meritano adeguata tutela. A seguito del recente anno sacerdotale legato alla memoria del Curato d’Ars, vale la pena sottolineare che l’effettività della spettanza ex parte paenitentis si concreta nella presenza del ministro nel confessionale negli orari stabiliti. Al di là della ragionevole esigibilità del servizio, una generosa “offerta del confessionale” normalmente incentiva molto la pastorale della Riconciliazione. Logicamente il discorso sviluppato nel libro è più ampio e riguarda anche le sedi alternative.

Tante pagine non rischiano di disincentivare la lettura?

Prof. del Pozzo: Forse sì. A parte la spesa, la relativa autonomia di ogni studio permette tuttavia di concentrarsi anche su un singolo elemento. Va precisato però che per la complessità dell’argomentazione e dello stile il testo non è certo un’opera divulgativa destinata al grande pubblico, si inserisce non a caso nella collana di monografie giuridiche della Facoltà. Si tratta dunque di un approfondimento specialistico e settoriale (sub specie iuris) dedicato oltre che ai (non certo numerosi) giusliturgisti ai non pochi operatori, formatori e cultori della materialità del sacro. Insomma è un piccolo mattone (anche nel formato!) per contribuire alla miglior edificazione, riordino o pulizia della “casa di Dio”nella linea del decoro e del nitore additato dal magistero benedettino.

 

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