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Notiziario Santa Vittoria

LA PAROLA A CURA DI DON ALESSANDRO

22 MARZO 2015 V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO "B"

Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33

L’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme non poteva passare inosservato. Esso fu rilevato non solo dai giudei, ma fu notato anche da un gruppo di greci, saliti a Gerusalemme per celebrare la prossima festa della pasqua. Queste persone (proseliti o timorati di Dio), avevano abbracciato il monoteismo ed erano venuti nella città santa per adorare Dio. Chiedono agli apostoli: “Vogliamo vedere Gesù”, cioè vogliamo conoscerlo. È una domanda che si ripete, una domanda che si legge negli occhi di tanta gente.

Eppure se oggi qualcuno chiedesse a noi, sacerdoti e comunità: Fammi conoscere Gesù, quale novità ha portato nel mondo, che cosa risponderemmo, quale Gesù gli presenteremmo?

Gesù ha detto: “Amatevi gli uni gli altri. Da questo riconosceranno che siete miei discepoli” (Gv 13,35). Noi possiamo presentare una carità che assomiglia a quella di Cristo? Una carità che tende la mano lealmente? Una carità forte quando è necessaria la fortezza, ma senza spirito di vendetta?

San Paolo insegna che: “la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (cfr. Rm 10,14-17). Noi sacerdoti annunciamo ancora Cristo e la sua Parola e il Magistero della Chiesa?

Ricordo che lo scrittore cattolico Georges Bernanos nel “Diario di un curato di campagna”, del 1946, scrive: “Una cristianità non si nutre di marmellata più di quanto se ne nutra un uomo. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo rassomiglia al vecchio padre Giobbe, pieno di piaghe e di ulcere, sul suo letame. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce anche di marcire”.

Joseph Ratzinger, anni fa, se ne uscì con una battuta che più o meno diceva: una prova della divinità della Chiesa sta nel fatto che la fede dei popoli sopravvive a milioni di omelie domenicali.

Gesù, a coloro che lo vogliono conoscere, risponde: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”. È l’ora della passione, l’ora della prova, l’ora del sacrificio; e aggiunge: “se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto”. Il sacrificio allora diventa legge di vita. Senza capacità di soffrire per gli altri, si è soli e si resta soli. È il vivere per gli altri che vince la solitudine umana e la riempie di volti, di persone, di presenze.

In sintesi. La storia del seme è quella di morire per moltiplicarsi; la sua funzione è quella di servire alla vita. L’annientamento di Gesù è paragonabile al seme di vita sepolto nella terra. Nella vita di Gesù amare è servire, è perdersi nella vita degli altri, morire a se stessi per far vivere. Mentre sta per avvicinarsi la sua “ora”, Gesù assicura i suoi con la promessa di una consolazione e di una gioia senza fine, accompagnata da ogni tipo di turbamento. Cristo ha scelto la croce per sé e per i suoi: chi vuole essere suo discepolo è chiamato a condividerne il suo stesso itinerario.

Un pensiero per noi sacerdoti. Leggiamo, meditiamo e confrontiamoci spesso con quello che insegna san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi 1, 17-31.

Credo che coloro che vogliono conoscere il nostro Maestro abbiano anche diritto alla verità e non alla noia di un disincarnato perbenismo “politically correct” o a un moralismo progressista.

Buona Domenica.

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