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Notiziario Santa Vittoria

LA PAROLA A CURA DI DON ALESSANDRO

6 NOVEMBRE 2016 XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO C

2Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2Ts 2,16 — 3,5; Lc 20,27-38

L'aldilà sembra un problema inutile: invece proprio a questo problema è legato tutto l'aldiquà. Alcuni apertamente dicono che l'aldilà non esiste, però abbiano il coraggio di tirare tutte le conseguenze: se realmente l'aldilà non esiste, allora la vita è frutto del caso; allora la virtù è una fatica inutile; allora lo scopo della vita è godere più che si può; allora uccidere e uccidersi non fa più problema; allora la vita non ha più senso. Si può accettare tutto questo?

Un giorno si presentano a Gesù alcuni sadducei con l'intenzione di mettere in ridicolo la dottrina della risurrezione dei morti (a differenza degli altri gruppi religiosi del tempo, i sadducei non credevano negli angeli e nella risurrezione dei morti), a questo scopo, gli raccontano una storia, non sappiamo se vera o inventata. Una donna ha sposato un uomo che muore senza lasciare figli. In ossequio alla legge mosaica gli subentra come marito il fratello, che ha, però, la stessa sorte, e cosi gli altri cinque, finché alla fine muore anche la donna. Ed eccoci alla domanda-trabocchetto: nella risurrezione, di quale dei sette fratelli sarà moglie quella donna?

La risposta di Gesù non si fa attendere: "Vi sbagliate - dice Gesù - perché voi pensate che lo vita eterna sia come la vita di quaggiù. Questo è un mondo provvisorio, dove tutto ha breve durata. La vita eterna è un'altra cosa e il matrimonio stesso non ci sarà più, perché appartiene a questa fase della storia umana". Nella sua risposta Gesù riafferma anzitutto il fatto della risurrezione, correggendo, nello stesso tempo, la rappresentazione materialistica dei sadducei. La beatitudine eterna non è semplicemente un potenziamento e prolungamento delle gioie terrene, con piaceri della carne e della tavola a sazietà. L'altra vita è davvero un'altra vita, una vita di qualità diversa. È il compimento di tutte le attese che l'uomo ha sulla terra, ma su un piano diverso. Ciò non significa che i vincoli terreni (tra coniugi, tra genitori e figli, tra amici) saranno dimenticati e non esisteranno più. Esisteranno con una intensità e purezza sconosciute quaggiù, ma sublimati su un piano spirituale. Il rapporto di coppia e ogni altra esperienza umana di comunione e di amore erano scalini per arrivare a quella sommità. Non ha più ragione di esistere il simbolo, là dove c'è ormai la realtà.

Tutte le parole del Vangelo rispondono a domande e bisogni profondi dell'uomo, ma questa, sulla risurrezione e la vita eterna, forse più di tutte le altre. Nessuno, credo, neppure l'ateo, dinanzi alla perdita di una persona cara, può evitare di porsi la domanda: "È davvero tutto finito, o c'è qualcosa dopo la morte?". Nella parte finale del Vangelo, Gesù spiega il motivo perché ci deve essere vita dopo la morte: "Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui". Se Dio si definisce "Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe" ed è un Dio dei vivi, non dei morti, allora vuol dire che Abramo, Isacco e Giacobbe vivono da qualche parte, anche se, al momento in cui Dio parla a Mosè, essi sono scomparsi da secoli. Se esiste Dio, esiste anche la vita nell'oltretomba. Una cosa non può stare senza l'altra. Sarebbe assurdo chiamare Dio "Dio dei viventi", se alla fine si trovasse a regnare su un immenso cimitero di morti. Non capisco le persone che dicono di credere in Dio, ma non in una vita ultraterrena. Non bisogna, però, pensare che la vita oltre la morte cominci solo con la risurrezione finale. Quello sarà il momento in cui Dio ridarà vita anche ai nostri corpi mortali. Ma, secondo la fede cattolica, l'elemento spirituale che c'è in noi, il nostro io profondo che chiamiamo anima, già al momento della morte, va a ricongiungersi a Cristo in una vita glorificata e felice. Cosa significhi ciò in concreto, rimane un mistero per noi, finché siamo in questo mondo, ma la parola di Cristo ci assicura che è cosi. "Oggi, sarai con me in paradiso" (Lc 23,43), disse Gesù al buon ladrone. Oggi, non alla fine del mondo! È questa la fede che ci permette di intrattenere un dialogo e di sperimentare una certa comunione con i nostri cari defunti, soprattutto attraverso la preghiera.

Sulla fede nella vita dopo la morte è passato, purtroppo, una specie di uragano che l'ha lasciata a terra, come certe piantine dopo la tempesta. Si ha quasi paura di parlarne. La vita eterna - hanno detto Feuerbach, Marx e Freud - non è altro che la proiezione dei bisogni inappagati dell'uomo. É venuto il momento di proclamare con forza la verità della vita eterna. Ancora: questo gioioso annuncio dell'aldilà e della vita eterna non ha nulla a che vedere con gli annunci minacciosi sulla fine del mondo, il tutto condito con l'immancabile richiamo al "terzo segreto di Fatima". Non lasciamoci minimamente turbare da queste cose; è tutto frutto di fantasie malate. Non lo dico io, lo dice lo stesso Cristo: "Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: Sono io e: il tempo è prossimo; non seguitele" (Lc 21,8). Purtroppo, di catastrofi e disgrazie ce ne sono state e ce ne saranno ancora, ma nessuno è autorizzato a strumentalizzarle arbitrariamente, facendone il segno della collera divina. Se le catastrofi naturali fossero segno di punizione divina, bisognerebbe concludere che tra la povera gente del Bangla Desh ci sono più grandi peccatori che tra gli abitanti di New York, Londra, Parigi o Roma.

Un famoso canto Negro spirituals, intitolato "Dondola piano, dolce carro" parla del momento in cui Dio verrà a prenderci sul suo carro, per portarci nella sua casa. A un certo punto il testo dice: "Se arrivate lassù prima di me, dite a tutti i miei amici che presto arrivo anch'io". Faccio mie le parole di questo canto: Se arriverò prima io, vi prometto che dirò la stessa cosa ai vostri cari che vi aspettano lassù.

BUONA DOMENICA

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