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Gli ultimi giorni di Idomeni
Data pubblicazione : 08/08/2016
Foto sommario

Oggi, al Centro San Rocco, l'inaugurazione di un'interessante mostra fotografica di Claudia Pajewski su un grande campo profughi sgomberato e chiuso in Grecia

Nata come base spontanea di transito sulla rotta balcanica, dal 2015 Idomeni si trasforma a seguito della progressiva chiusura della frontiera greco-macedone nel campo informale più grande della Grecia.
Più di diecimila rifugiati, per la maggior parte siriani ma anche iracheni, afghani, pachistani, nonostante le gravi carenze igienico-sanitarie preferivano sostare qui, a un passo dal confine, nella speranza di proseguire il loro cammino verso nord. Grazie all’impegno costante di ong, volontari e attivisti indipendenti, pur nella sua ferocia Idomeni è stata una rara  compenetrazione di vite e culture. Una piccola repubblica indipendente di polvere e fango, unita dal sogno comune di un’Europa senza frontiere.
Sono arrivata al campo la mattina del 22 maggio 2016. Quel giorno c’erano ovunque coperte e vestiti stesi al sole. La sera prima un violento temporale aveva allagato le tende trasformando l’area in un’immensa distesa di fango. Nella tendopoli girava voce di un imminente sgombero. In passato c’erano state dichiarazioni simili da parte del governo greco, ogni volta senza  conseguenze reali. Per questa ragione la vita proseguiva con apparente tranquillità, salvo il numero dei rifugiati che si era ridotto spontaneamente a circa ottomila persone.
All’alba del 24 maggio la polizia greca ha iniziato le operazioni di sgombero allontanando dall’area attivisti, volontari e giornalisti. I rifugiati sono stati caricati sugli autobus diretti ai campi militarizzati di Salonicco senza ricevere alcuna informazione, mentre le ruspe demolivano sotto i loro occhi le tende, e con queste il sogno di oltrepassare la frontiera alla ricerca di una vita normale. Centinaia di agenti in tenuta antisommossa hanno portato a termine l’operazione in soli tre giorni.
Non è un caso che le uniche proteste siano avvenute nei pressi dei posti di blocco, di fronte a decine di fotografi e giornalisti. I pochi attivisti che hanno assistito alle operazioni, nascosti dagli stessi rifugiati nelle tende, raccontano di migliaia di persone salite sui bus senza opporre resistenza.
Ridurre la possibilità d’intervento dei volontari, comprese le consegne di viveri e acqua, eliminare dai media le immagini più forti, scoraggiare con l’isolamento i tentativi di resistenza da parte dei rifugiati. Questa la strategia del governo Tsipras per evitare l’uso della violenza, che avrebbe reso inaccettabile all’opinione pubblica lo sgombero coatto di un campo popolato per il quaranta per cento da bambini.
Al tramonto del 26 maggio, quando l’accesso è stato di nuovo permesso alla stampa, del campo di Idomeni restavano solo cumuli d’immondizia, testimonianze di vite interrotte poche ore prima.


Claudia Pajewski ,fotografa professionista e fotogiornalista indipendente, vive e lavora tra Roma e L’Aquila. La sua ricerca si concentra sui temi dell’identità di genere, delle trasformazioni sociali e urbane, del teatro di ricerca. Dal 2007 collabora con testate nazionali, agenzie di comunicazione, etichette discografiche. Nel 2014 fonda con altre professioniste impegnate sul territorio aquilano l’associazione di arte pubblica Off Site Art. www.claudiapajewski.com

 

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