Centro San Rocco - Interventi

Il paesaggio e la sua cura
Data pubblicazione : 28/05/2022
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Ispirato dalle voci profetiche di alcuni scrittori e dalla sempre attuale Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, nella convinzione che il paesaggio sia da salvaguardare perché custode del nostro passato e delle nostre memorie, il Centro San Rocco propone una riflessione sull'ultimo ciclo di incontri da poco concluso

“Dietro il paesaggio” fu il titolo con cui il poeta Andrea Zanzotto fece il suo ingresso nel mondo letterario nel lontano 1951, ispirato da tutto ciò che dietro il paesaggio si nasconde, di memoria, di dialetti, di tradizioni, di prodigi, e deciso a rendergli onore con la poesia. Fino alla morte (2011) ha continuato a voler cantare quel suo paesaggio veneto, una volta intatto, ma che nel presente egli trovava sempre più offeso, lacerato, cancellato da un progresso sregolato che andava cementificando, accerchiando campi e uomini come un “nodo scorsoio”. Queste le sue parole per definire un progresso sfrenato. Sulla scorta di questo grande poeta del paesaggio e di altre voci, il tempo presente ci appare un tempo che ‘strapiomba’, segnato da insanabili emergenze climatiche e crisi ambientali generate  dall’eclissi globale di un rapporto equilibrato tra uomo e natura. Quasi tutto il pianeta è ormai inquinato, gli oceani acidificati e surriscaldati (la media della temperatura globale nel 2021 è stata di 1,11 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali; questo e altro documenta oggi, 19-5, Avvenire).  Il dirompente consumismo accelerato dallo sbrigliamento dei bisogni  non fa altro che aumentare l’emergenza. Nell’attualità, poi, in Europa si aggiunge una guerra distruttrice di campi fertili, granai per l’Africa (vedremo ulteriori migrazioni) e l’Europa,  e di città custodi di memorie uniche. Ispirati dalle voci profetiche  degli scrittori anche recenti, come Niccolò Reverdini nel libro “Anche l’usignolo. Vita di città, di bosco e di campagna”, e dalla sempre attuale Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, nella convinzione che il paesaggio sia da salvaguardare perché custode del nostro passato e delle nostre memorie, perché luogo insostituibile di semi vitali, ma anche immagine permanente di bellezza, abbiamo realizzato di recente un ciclo di incontri intitolato “La cura del paesaggio”. Obiettivo era fare consapevolezza di quanto sia vitale il legame rispettoso tra l’uomo e la natura contro ogni forma  di profitto selvaggio, che nell’era della globalizzazione appare molto incentivato e anche protetto legalmente.

Negli incontri sono intervenuti Niccolò Reverdini, scrittore e coltivatore diretto lombardo, che nel citato libro “Anche l’usignolo”(Mondadori) racconta la sua epica impresa di recupero e risanamento ecologico (riattivazione di fontanili e reintroduzione di animali della catena alimentare) di un vasto bene di famiglia, altrimenti destinato all’abbandono o alle scellerate lottizzazioni, comprendente un grande bosco centenario alle porte di Milano (65 ettari) e vasti terreni adibiti a libero pascolo e culture; Giuseppe Lupo, autore del romanzo “Il pioppo del Sempione” e del saggio antropologico “Civiltà Appennino”, nonché studioso della cultura della civiltà industriale. Infine Marco Marchetti della Fattoria Sociale Montepacini di Fermo, a cui si deve il recupero, a fini di integrazione sociale, di una casa colonica e di 13 ettari di terreno oggi condotti con metodo biologico e nel rispetto della biodiversità, con annesso agriturismo. Ha accompagnato Marchetti  il giovane scrittore Francesco Moglianesi, coautore, col protagonista Musa Darboe, del racconto “La prima goccia”, una storia di migrazione che nell’azienda di Montepacini ha trovato una fortunata occasione di inserimento e possibilità di autodeterminazione. Tutti gli ospiti hanno infatti posto l’accento su quanto i luoghi rurali, recuperati e ricostituiti, sebbene oggi si lavori con moderne tecniche, sul modello della cultura contadina per tradizione aperta all’accoglienza, possano diventare luoghi di comunità e di incontro. Il paesaggio è la casa degli uomini, dei loro incontri, dei loro linguaggi. Nel paesaggio autentico, non nei molti non-luoghi di oggi, gli uomini possono costruire il loro senso e la loro storia. Non esiste un uomo avulso dal suo paesaggio, del quale egli sempre reca i segni e il pensiero, ha detto  Giuseppe Lupo. Così Paplusch, il personaggio del suo “Il pioppo del Sempione”, emigrante, operaio in fabbrica, si costruisce, s’innamora, invecchia all’ombra del pioppo della sua corte ai margini di una Milano in crescita e in continuo mutamento. Il pioppo assiste alla sua storia e ai mutamenti della grande storia. Muto, ma vibrante testimone.  Interessante è stata la testimonianza di Reverdini sulle esperienze comunitarie nella sua cascina lombarda, prima, di suo apprendimento agricolo e amicizia con la famiglia degli antichi contadini del nonno, poi di integrazione e di apprendistato con gli extracomunitari. Anche Montepacini, da terreno incolto, è diventata comunità: giovani disabili e migranti hanno trovato occasione di autodeterminazione nel lavoro in cucina e nei campi insieme ai volontari, ma sempre nel rispetto della terra e dei loro ritmi. Lontano dalle richieste, spesso disumane, del mondo del profitto. Esemplare la storia di Musa Darboe, ragazzo intelligente e determinato che, fuggito dal Gambia, a Montepacini trova amicizia, stima, sicurezza per proseguire nel suo percorso di lavoro e di studi, senza mai dimenticare il suo paesaggio d’origine, i suoi colori, le sue piogge.

Il paesaggio d’origine o d’elezione - tutti i relatori in vari modi hanno concordato - custodisce la cultura, ma nutre anche utopie. La formazione classico-filologica di Reverdini, peraltro pronipote dello scrittore Carlo Dossi, gli fa riscoprire in ogni luogo del suo bosco e dei suoi campi non solo le memorie della sua infanzia, ma soprattutto i testi degli scrittori che la campagna lombarda hanno amato e raccontato, da Virgilio a Petrarca, da Cattaneo a Gadda. In lui, a sentirlo, la cultura si fa concreto incontro con i luoghi, la natura, la terra, gli uomini; e nella vicenda di piante e animali egli legge, e trasmette ai visitatori (il Punto Parco Cascina Forestina accoglie scuole di ogni ordine e laboratori universitari), con cosciente serenità la fatale condizione umana, tra vita e morte. Il contatto con la natura crea umanesimo. E non manca di ricordare che lode e rispetto del paesaggio sono inscritti nel primo capitolo della cultura italiana, nel Cantico di San Francesco, e nell’articolo 9 della Costituzione Italiana. Giuseppe Lupo in un percorso interessantissimo ricorda come nel paesaggio aspro, e oggi purtroppo abbandonato, dell’Appennino abbiano avuto origine le grandi utopie religiose e sociali. Patria di ribelli, di santi, di scrittori l’Appennino ha dato vita al cristianesimo puro di San Francesco e di Celestino V, alla comunità di Nomadelfia di don Zeno e a quella di Dossetti. Molti intellettuali, come Silone, Pomilio, Volponi sono emigrati dai luoghi aspri e poveri dell’Appennino, per differenti motivi, ma, uomini di memorie, hanno costruito altrove le loro utopie generate dal seme del loro paesaggio. E per questo nostro Appennino, oggi così lacerato dal terremoto e vuoto per le emigrazioni, Lupo lancia una sua utopia: essendo luogo del silenzio, che diventi una sorta di “pensatoio” – utilizzando i molti edifici liberi – per gruppi di universitari o di giovani studiosi e intellettuali, italiani e stranieri, un laboratorio di idee, lasciando ai paesaggi fluidi della pianura il compito poi del costruire, del realizzare. Una sfida. Chissà che politica e società non la raccolgano. Intanto molti giovani e giovani famiglie stanno riattivando proprio sui nostri Appennini attività antiche, come la pastorizia e la lavorazione della lana, mentre nelle valli sempre dalle mani dei giovani l’agricoltura pare rifiorire sotto nuovi segni.

                                 Guglielmina Rogante

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