Centro San Rocco - Interventi

Educazione, una questione di ordine…
Data pubblicazione : 13/01/2019
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Una riflessione di Daniela Marrozzini

Ogni volta che si parla di educazione, è uso comune ormai fare riferimento all’etimologia del termine che ci porta a ragionare come farebbe un’ostetrica che deve “tirar fuori” il bambino che nasce. Chi educa è chiamato a tirar fuori ciò che uno è, ciò che porta con sé e dentro di sé.

Pur inchinandomi di fronte all’etimologia del termine che è pregna di senso e che, in gran parte, allude ad un significato operante e molto più pratico che teorico, credo sia opportuno, oggi più che mai, da adulti ed educatori, non solo stimolare il parto di ciò che ogni ragazzo è già, ma anche aiutarlo ad essere ciò che è creandogli un po’ di ordine attorno. 

Provo a spiegarmi.

In un tempo definito dai migliori teorici come “complesso”, in cui tutto viaggia alla velocità della luce e in cui il caos si è preso lo spazio del cosmos, la presenza di adulti “ordinati”, stabili e coerenti accanto ai ragazzi è più che mai necessaria.

Lo vedo a scuola, dove spendo la mia vocazione. Se si conviene nel fatto che non dobbiamo essere noi docenti a modellare nuove forme, credo si debba convenire anche nel fatto che i docenti siano chiamati a generare luoghi sapienti di creazione, luoghi di ascolto, di tensione verso l’altro, luoghi di ordine, appunto, in cui ogni ragazzo possa ascoltare se stesso, darsi spazio e inventare le proprie forme, avendo anche la facoltà di inventarne di sbagliate e il privilegio di pensarne di nuove e più confacenti alla propria forma di vita. La scuola, come la società, dovrebbe essere lo spazio in cui pensare i propri progetti di vita. Anche questo è un termine un po’ abusato oggi, ma credo sia necessario usarlo perché il tempo della scuola coincide necessariamente con il tempo più fecondo per sognare la propria esistenza e  trasformare tali sogni in progetti di vita.

Mi dispiace sentire molti colleghi affermare che i nostri ragazzi siano privi di sogni, e mi dispiace ancora di più ammettere che qualche volta l’ho detto anche io. Mi chiedo, in verità, se sia proprio così o se invece, forse, noi adulti parliamo troppo accanto ai nostri ragazzi, a volte persino sopra le loro stesse parole, a tal punto che non diamo loro neppure il tempo di esprimersi davvero. Camminiamo sui loro passi, anticipiamo i loro percorsi, calpestiamo le loro impronte. Di fatto, forse facciamo una gran confusione.

La logica del profitto e del tempo che passa inesorabile ci costringe -perché anche noi adulti siamo stretti in tale morsa- a correre e far correre. La giovinezza, invece, andrebbe rallentata, andrebbe rivista in modalità slow motion, per coglierne l’essenza, le parole, i profumi. Andrebbe inserita, per l’appunto, in quell’ordine che riserva uno spazio vitale sia alla testa che al cuore. Spazio che, poi, alla fine, genera le scelte consapevoli.

E’ vero, dobbiamo aiutare i ragazzi anche a non disorientarsi nel disordine della nostra civiltà, in cui le notizie vere e false si confondono, in cui si urla tutto e il contrario di tutto, ma per orientarsi occorre prima procurarsi una buona mappa. E le mappe, strumento per eccellenza per dare ordine alle cose, vanno lette, studiate, ragionate. Proprio come ci permette di fare una buona lezione di storia, la lettura critica dei quotidiani o la ricerca della soluzione ad un problema matematico o, ancora, buttarsi nelle pagine di un romanzo.

Ecco, questo vorrei poter garantire ai miei alunni: una mappa del pensiero, una mappa della persona, nella quale poter dare ordine al disordine delle cose e della gente, nella quale trovare percorsi e mete a cui arrivare e da cui ripartire con l’unico scopo di esprimere al meglio la propria personalità.

 

Daniela Marrozzini

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