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Notiziario Santa Vittoria

LA PAROLA A CURA DI DON ALESSANDRO

14 GIUGNO XI TEMPO ORDINARIO ANNO "B"

Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34

«Sapranno... che io sono il Signore». Con queste parole il profeta Ezechiele annuncia un intervento di Dio che dirige la storia in modo da far apparire chiaramente in essa il suo progetto. Il problema concreto è quello della dinastia davidica. Nonostante l'oracolo di Natan a Davide, questa dinastia era stata sradicata dalla storia; come continuare a credere nel potere di Dio quando una sua promessa così importante sembra svanita nel nulla? Ezechiele annuncia allora un meraviglioso ristabilimento: Dio stesso coglie un ramoscello (un discendente di Davide) e lo pianta sul monte d'Israele (lo insedia a Gerusalemme) in modo che tutti gli uccelli dimorino sotto di lui (in modo che tutti i popoli riconoscano la sua sovranità). Allora tutti gli alberi della foresta (tutti gli uomini) sapranno che Dio è davvero Dio, che il suo potere è davvero sovrano, che egli è effettivamente salvatore.

Il medesimo problema si è presentato nella storia ogni qual volta l'azione di Dio è apparsa misteriosa, incomprensibile; quando gli eventi sembravano nascondere la sovranità di Dio più che rivelarla. Ed è a un momento simile che si riferiscono le parabole del Vangelo. Un seme gettato nella terra, un granellino di senapa: realtà minime il cui significato non è facile da cogliere; il grano di senapa «è più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra»; il seme gettato nell terra non è visibile. Se si tiene conto solo della realtà presente, si tratta di cosa trascurabile. Ma proviamo a immaginare il futuro: il grano di senapa diventa allora «più grande di tutti gli ortaggi»; il seme diventa spiga, poi chicco pieno nella spiga, poi frutto maturo che rende possibile la mietitura. E' l'immagine del mistero della vita; guai misurare la vita secondo la quantità di ciò che si vede. La vita è crescita, è maturazione, è slancio verso una pienezza che è collocata nel futuro; solo chi sa sognare correttamente il futuro ne coglie il vero mistero.

«Il regno di Dio è come...». Il regno di Dio, l'azione sovrana di Dio, il mistero dell'attività di Dio. Dio non è una forza anonima ma un soggetto personale di azione; non è un «dato», ma un Dio vivente che opera e agisce liberamente. Guai dunque a calcolare il suo regno dall'esame del presente come se si trattasse di registrare una situazione. Poniamoci nei panni di un ebreo, testimone delle opere di Gesù. Che cosa vede? Che cosa gli appare nuovo nel mondo? Un predicatore ambulante che annuncia il regno di Dio e accompagna questo messaggio con alcune guarigioni di malati. Tutto qui? È certo cosa bella, ma il regno di Dio deve avere altre dimensioni; il regno di Dio deve confrontarsi col potere dell'impero di Roma, con le ingiustizie che dominano il mondo, con la speranza di «cieli nuovi e terra nuova». Non sembra che il fenomeno Gesù abbia la dimensione richiesta per presentarsi credibilmente come inizio del regno di Dio. Ma torniamo nei nostri panni e le cose non saranno molto diverse. Sono passati duemila anni da quel primo annuncio e certo la parola di Gesù ha fatto molta strada; la chiesa ha accumulato nei secoli numerosi segni di credibilità. Ma possiamo dire che il regno di Dio è più vicino a noi di quanto non lo fosse ai galilei del tempo di Cristo? O non dobbiamo dire che ancor oggi il regno di Dio è come un seme gettato nella terra, come un granellino di senapa, che appena si distingue sul palmo della mano?

Il regno di Dio è regno di santità, di giustizia, di amore, di pace. Possiamo dire che oggi, nel nostro mondo, queste realtà sono più grandi di un granellino di senapa? Ma proprio questo dice la forza attuale di un vangelo come quello di oggi. E' un vangelo contro tutte le stanchezze, le rassegnazioni, le dimissioni determinate da delusioni. Può sembrare che il mondo d'oggi sia troppo frammentato per essere raccolto insieme dalla parola di Dio; che sia troppo sazio per desiderare qualcosa di più di ciò che possiede; troppo scettico per affidarsi veramente alla forza della Parola. E la parola di Dio può sembrare uno strumento troppo debole di fronte alle forze politiche, culturali, economiche che lottano per conquistare consensi. Eppure vale più che mai l'affermazione fiera di Paolo: Io non mi vergogno del vangelo (cioè: non ho paura di rimanere deluso dall'inefficacia del vangelo che predico) perché è potenza di Dio (non è una forza mondana che vada valutata sulla base di una efficacia misurabile; è invece una forza divina, un dinamismo inarrestabile) capace di produrre la salvezza di chiunque crede, capace di dar valore alla vita e alla morte, alla gioia e alla sofferenza di ogni uomo, a condizione che creda all'amore di Dio.

La fede del credente nella parola di Dio ha la sua manifestazione nella fiducia che Paolo (2Cor 5,6-10) conserva anche davanti alla prospettiva della sua morte. Non solo egli non è avvilito dagli insuccessi della sua predicazione; preferisce addirittura «andare in esilio e abitare presso il Signore». Nemmeno la morte è un fallimento; anzi, essa assume una valenza positiva, non certo in sé, ma perché permette di ricongiungersi al Signore, che è il desiderio supremo del credente. «Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi». L'unico vero fallimento per l'apostolo sarebbe trovarsi in una situazione nella quale fosse impossibile piacere al Signore; ora questa situazione non si verifica nella vita che può sempre essere trasformata in amore e in obbedienza a Dio. Ma nemmeno la morte può allontanare da Dio; anzi essa può venir trasformata nel compimento pieno dell'obbedienza a Dio. È stato così per la morte di Gesù; può e deve essere così per la morte del credente. 

BUONA DOMENICA

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