Solenne Pontificale in Cattedrale

Natale 2025, l’omelia dell’Arcivescovo Pennacchio

La speranza è che a Natale siamo tutti più veri, prima che più buoni.

25 Dicembre 2025

Al tempo di Isaia il popolo non è ancora tornato a Gerusalemme ma il semplice annuncio di pace da un intrepido messaggero, i cui piedi non conoscono riposo, è già rincuorante, è speranza.

La prima lettura non riporta il versetto precedente l’inizio del brano ascoltato: “In quel giorno il mio popolo saprà chi sono io. lo sono colui che ce: Eccomi!” (Is 52,6). Il profeta sa che nelle situazioni difficili Dio è stato vicino al suo popolo. In Egitto, durante l’esodo, nell’ingresso in Canaan, ogni volta che lo ha invocato, il Signore ha sempre e subito risposto: Eccomi! Colpisce che anche Dio, quando è invocato da chi ha bisogno del suo aiuto, risponda: Eccomi! ed intervenga in suo favore. E l’immediata conseguenza del Dio-con-noi è il dono della pace. Quanto ci addolora che proprio nella terra dove si attende la pace del Messia, questa sia ancora lontana, e comporta morti, sofferenze, violenze. E nemmeno è stato accolto l’insistente invito del Santo Padre ad una tregua di Natale nel conflitto Russia/Ucraina perché – viene riferito – sarebbe un espediente temporaneo, non la pace.

Tutta la storia della salvezza è attraversata dalla premura di Dio che non si estrania dalla vita dell’uomo e prende l’iniziativa per offrirgli la salvezza, una risposta alla sua ricerca di pienezza, di pace, senza mai forzare la sua libertà, e in effetti gli uomini sono stati sempre recalcitranti di fronte ai suoi inviti.

L’Eccomi definitivo di Dio, ricorda la seconda lettura, si ha con l’Incarnazione, la festa che oggi stiamo celebrando. Cristo è la parola definitiva, nel senso che in lui Dio ha detto tutto, soprattutto rivelando il suo amore. E se ha voluto che il suo figlio diventasse uomo, accogliesse i poveri e i peccatori, portasse il peso dei nostri peccati fino a morire per amore sulla croce, vuol dire che, nella logica dell’incarnazione occorre prenderci cura dell’altro perché in lui risplende il volto di Dio.

Comprendete come il fulcro del Natale non sono i buoni sentimenti, gli auspici che si riducono a luoghi comuni, gli auguri dilaganti su wa. Difficilmente il clima natalizio, pur da tutti apprezzato e condiviso, orienterà e migliorerà la nostra vita spirituale, passata la festa. Tendiamo ad aggirare il senso vero del Natale perché facciamo fatica a immaginarci un Dio così vicino, “incarnato” nelle contraddizioni della vita, così coinvolto nelle miserie umane. Un Dio così, infatti, non è compatibile con una religiosità di facciata, che si commuove ma non converte la vita, specialmente quando si affacciano esperienze faticose ad essere vissute alla luce del Vangelo.

Giovanni, nel Prologo che abbiamo ascoltato al vangelo, dice che il mondo è stato creato per mezzo del Verbo, e anche noi, che riportiamo la sua immagine. Lui era la luce che splende nelle tenebre, che venne tra i suoi ma non è stato accolto perché gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce. Il Natale non ci porta una generica salvezza ma un Salvatore, una persona che si può accogliere o respingere. Il Figlio incarnato sta alla porta e bussa, attendendo che qualcuno gli apra, che venga fuori dalle tenebre e si lasci illuminare da Lui. Perché tanta ritrosia a lasciarci amare veramente da Cristo? Forse perché non pensiamo di “meritarcelo”, di non essere ancora adeguati; viceversa, potremmo pensare di stare già bene così, di non aver bisogno di un Salvatore.

Un noto biblista nota che Gv, mentre evidenzia che rimane nelle tenebre chi fa il male, viene a luce non chi fa il bene ma chi fa la verità. Prima di essere buoni, davanti a Dio ci viene chiesto di essere veri, con l’onesta di chi è consapevole di aver bisogno di essere salvato. Anche la Chiesa, nelle sue imperfezioni, non deve aver paura di mostrarsi per quello che è; così diventa più credibile e si libera dalla tentazione del moralismo, sgombrando il campo dall’equivoco che Gesù sia venuto nel mondo ad insegnarci una qualche dottrina o principio etico. La speranza, perciò, è che a Natale siamo tutti più veri, prima che più buoni. Se dovessimo competere sulla “bontà”, sulle opere, inevitabilmente ci sarebbero forti e deboli, vincitori e vinti; invitati invece a “fare la verità” siamo tutti sullo stesso piano, siamo tutti fratelli e sorelle.

L’Incarnazione è innanzitutto la sfida ad accogliere Gesù nella propria vita, è certezza che l’amore rivelatoci dalla croce è veramente l’unica strada concreta per costruire la pace; è fiducia di essere salvati da Lui così come siamo, e di essere salvati insieme, grazie a quella comunità che chiamiamo Chiesa è che è nel mondo segno di speranza per chi attende una salvezza e non c’è nessuno che sappia offrirla.

Il passo decisivo per accogliere l’Incarnazione è dire Eccomi, come ha fatto Dio con noi e lasciare che la nostra vita ci trasformi, come Maria: lei ha accettato che la sua vita anche fisica venisse cambiata, come accade a tutte le donne in gravidanza; ha accettato di seguire il Figlio fino alla croce, e ha perseverato insieme agli apostoli nell’attesa dello Spirito. Il suo sposo, San Giuseppe, per la sua giustizia ha accettato di essere anche lui strumento dell’incarnazione, custodendo il Figlio di Dio e preservandolo dalla persecuzione di Erode. I giusti di Israele hanno desiderato la salvezza; dopo, la schiera senza fine di santi e martiri che hanno preso sul serio cosa voglia dire una fede incarnata. Chiediamo l’intercessione di questi amici di Dio perché anche noi siamo all’altezza della vocazione alla santità che il Battesimo ci ha donato.

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