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Ho una figlia hikikomori: non esce e vive di notte
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Il racconto di una madre: ecco come è cambiata la vita della nostra famiglia

È quasi mezzanotte e sento vibrare il cellulare. La stanza s'illumina della luce blu dello schermo in cui compare il nome della mia cara amica che come me abita nel Fermano. È successo qualcosa, mi dico, mentre con una certa trepidazione le rispondo. La voce è tremante quasi prossima al pianto: “Mia figlia è una hikikomori, ne ho la certezza". Non so che rispondere, sono sorpresa e le chiedo di calmarsi e di raccontarmi cosa le fa pensare una cosa del genere. Rivedo come in un film le istantanee di una ragazzina vivace e sorridente che fa foto autoscatto abbracciata alla sua mamma. Azzardo qualche domanda ma la mia amica è un fiume in piena senza argini, per dare voce al proprio dolore. “Tutto incomincia per Lilly (nome di fantasia) al tempo della prima fase adolescenziale – inizia -. Un fidanzatino la lascia dopo un breve periodo che si frequentano. Probabilmente la loro prima storia d'amore non funziona e Lilly inizia a rinchiudersi nella propria stanza per tempi ogni giorno sempre più lunghi. Evita le relazioni con noi familiari, le mie domande. Colgo per prima gli inizi di un cambiamento sempre più marcato. Intuito femminile? Come se non bastasse accusa malesseri più o meno reali che l'allontanano dal modo della scuola. Nessun interesse verso attività esterne la coinvolge come un tempo. Basta lezioni di danza e basta contatti tramite cellulare anche con i propri compagni di classe".  Come passa il tempo tua figlia, chiedo, cercando d'interrompere la tensione che percepisco mentre la mia amica mi parla. Il tono della sua voce è sempre più alto, le parole scorrono veloci. Le sento fare un respiro profondo e poi continua: “Lilly ritirata nella sua cameretta trascorre lì tutto tempo, specialmente di notte, dedicandosi alla navigazione in internet con videogiochi o visione di film o altro. Lo so per certo".

Da quanto tempo è iniziata questa situazione? Mi risponde che  purtroppo l'isolamento dura da mesi. La mia amica ha chiesto aiuto a qualche psicologo ed ha iniziato un percorso d'informazione piuttosto serio e doloroso al riguardo. "Hikikomori - mi dice -  vuol dire “stare in disparte”, ed è un termine giapponese. È una sindrome che può colpire adolescenti ma pure adulti e che va diffondendosi  anche in Italia in maniera critica e capillare". Le chiedo quali siano stati i primi sintomi che Lilly ha manifestato. “Il ritiro sociale - mi risponde - perché gli hikikomori  sentono di vivere in una società di cui non vogliono  far parte. Tutto inizia in modo graduale, anche se  in realtà gli hikikomori cercano il contatto con l’altro ma a distanza,  facendo nuove amicizie via chat e videochiamate che favoriscano anche forti legami con i propri simili". Alle domande dei familiari, preoccupati per la situazione, Lilly risponde che lo stile di vita che si è scelta, in fondo vuol dire che non sta bene nel mondo reale che pertanto rifiuta. Lo psicologo ha assicurato alla mia amica  che gli hikikomori come la figlia, non rientrano nei disturbi da dipendenze come accade per internet, trattandosi di un fenomeno molto più complesso. Allora domando: a scuola, Lilly che profitto aveva? Lilly in realtà manifesta, fin dal principio della sua sindrome, una forma di fobia scolastica che, secondo i genitori, l'ha portata ad abbandonare gli studi. Racconta che qualche volta, in famiglia durante i pasti, di sentire una forte ansia da prestazione e questo disagio riveste un ruolo significativo proprio del fenomeno hikikomori. La vita virtuale, in fondo,  permette a Lilly di sconfiggere la paura nel confronto di alcuni aspetti del proprio corpo e del proprio aspetto. Ma, chiedo alla mia amica, tua figlia si può dire che stia vivendo una forma di eremitaggio?

“No, assolutamente - mi risponde -. Gli eremiti decidono di lasciare la società per vivere in modo individuale, mentre gli hikomori rifiutano di farne parte". Domando ancora: secondo voi, Lilly la si può definire depressa? La madre mi ribadisce senza esitazione che, secondo l'esperto che segue il caso della figlia, gli hikikomori non possono essere considerati  ragazzi depressi. È un modo riduttivo il solo pensarlo. A differenza della sintomatologia depressiva, gli hikikomori non trascorrono il loro tempo a dormire o a non fare niente. Lilly quotidianamente si impegna  in progetti personali di scrittura, s'informa attraverso Youtube e altri canali online di vari argomenti di proprio interesse, contando su un buon bagaglio culturale che arricchisce giorno per giorno, benché abbia lasciato volontariamente gli studi. Si informa su tanti argomenti e vive di notte, mi conferma la madre.

Purtroppo vi è un altro problema di non poco conto, Lilly presenta il ciclo sonno-veglia invertito. Ciclo che la fa dormire di giorno e restare sveglia di notte. Un semplice modo per evitare il contatto con  le persone, un comportamento perfettamente in linea con la scelta dell’isolamento sociale. Chiedo se è corretto ipotizzare una cura. Secondo lo psicologo, è possibile migliorare la qualità della vita di Lilly attraverso un lavoro di rete. E toglierle l'utilizzo di internet? “È un pensiero che io e mio marito abbiamo avuto spesso ma obbligare gli hikokomori a rinunciare a internet non porterebbe alcun miglioramento – dice la madre -. Al contrario si dovrebbe provare a far uso di internet come uno strumento per riavvicinarsi al loro mondo, trascorrendo insieme e con discrezione momenti di vita quotidiana reale".

C'è una luce di speranza alla fine della nostra conversazione. Credo che piano piano, attraverso un percorso adatto e con l’aiuto di esperti nel settore, sia possibile migliorare l’evoluzione della condivisione sociale interagendo attraverso elementi del quotidiano e persone del mondo reale, stimolando la  fiducia, spesso carente, in sé stessi e negli altri. Saluto la mia amica che sento  più serena con una frase di Fabrizio Caramagna che mi torna in mente e non a caso: “Comunichiamo via chat ma non abbastanza perché si possa chiamare comunicazione.

Raccontiamo la nostra vita ma non abbastanza da far venir voglia di viverla. E a volte, via chat, ci innamoriamo anche ma non abbastanza da chiamarlo amore”. Ed ancora per la giovanissima Lilly a titolo di augurio: “Amare significa comunicare con l’altro e scoprire in lui una particella di Dio” (Paulo Coelho).

Stefania Pasquali

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