Per una pace giusta e duratura in Ucraina

Per una pace giusta e duratura in Ucraina
L’esperienza diretta in quel Paese dopo,l’invasione russa e l’articolo 11 della Costituzione italiana
È di qualche giorno fa (5 ottobre) la notizia del bombardamento di Leopoli, in Ucraina, che ha sfiorato un treno con 110 attivisti italiani a bordo, mentre era in stazione in attesa di ripartire per il confine con la Polonia. Si trattava degli attivisti del Movimento europeo di azione non-violenta (MEAN) di ritorno dal Giubileo della Speranza in Ucraina: un progetto, il MEAN, di promozione della pace e di assistenza umanitaria in Ucraina, sostenuto da una rete di una trentina di associazioni tra le quali l’Azione cattolica e l’Agesci.
Il MEAN descrive così la propria visione: «Siamo fermamente convinti che la resistenza armata può fermare o magari sconfiggere l’aggressione in atto, ma siamo altresì convinti che la forza militare non può cambiare il contesto da cui hanno origine le tante tensioni presenti in Ucraina». «Non andiamo in Ucraina per dire che siamo buoni e pacifici», scrive ancora il MEAN nel proprio decalogo. «Andiamo per essere accanto agli ucraini aggrediti e martirizzati da tante, troppe, settimane. Siamo lì per abbracciarli e condividere il loro dolore». Il MEAN non esclude dunque il ricorso ad una «resistenza armata» per fermare l’aggressione in atto in Ucraina. E i suoi aderenti non si definiscono «buoni e pacifici». Agiscono però sul terreno al fine di «creare le condizioni affinché gli abitanti delle zone di crisi e in pericolo di escalation dei conflitti possano diventare i protagonisti di un processo di rigenerazione».
Le notizie da Leopoli e la lettura del programma del MEAN hanno suscitato in me riflessioni e ricordi sul tema della pace. Riflessioni, quale Professore di diritto costituzionale, sull’art. 11 della Costituzione italiana; e ricordi, delle quattro volte che sono stato in Ucraina da quando ha avuto inizio l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022.
Parto da questi ultimi.
Sono stato in varie città dell’Ucraina (Uzhhorod, Chernivtsi, Kyiv, Leopoli, Odesa e Kharkiv) per svolgere lezioni in varie università e collaborare con alcune istituzioni locali sul tema delle riforme giuridiche che l’Ucraina sta portando avanti nell’ambito del percorso di adesione del Paese all’Unione europea.
Anch’io, come gli attivisti del MEAN, mi sono trovato sotto le bombe da droni e missili ed il fuoco di contraerea (ad Odesa e Kharkiv). Lezioni in aule bunker, funerali di soldati, macerie. Cimiteri, lacrime, racconti, donne e bambini in costante viaggio. Ho visto che cos’è la guerra, ma anche come la vita vada avanti nonostante
tutto. Ho visto una società che combatte per ottenere ciò che da più di dieci anni le viene negato (non dimentichiamoci che la guerra in Ucraina è iniziata nel 2014): la pace, appunto.
Ma quale pace? Siamo troppo abituati a questa parola da ormai ottant’anni in Europa (peraltro, dimenticandoci di cosa già è avvenuto in Bosnia negli anni Novanta) da trascurare come debba essere aggettivata. È significativo da questo punto di vista come Papa Leone XIV (che, con riguardo agli eventi del 24 febbraio 2022, già da vescovo, aveva parlato di un’«autentica invasione imperialista in cui la Russia vuole conquistare un territorio per motivi di potere e per ottenere vantaggi per sé») abbia recentemente parlato della necessità di una «pace giusta e duratura» per l’Ucraina.
Per ottenere una pace giusta e duratura, l’Ucraina ha bisogno di vedersi riconosciute garanzie di sicurezza per il futuro ed a tal fine è indispensabile il supporto dell’Occidente. Necessita di rafforzare le proprie istituzioni, all’interno del percorso di integrazione all’Unione europea, che la àncori saldamente ai valori dello Stato di diritto. Ha bisogno, come proposto dal MEAN, di una commissione per la verità e la riconciliazione, una volta terminata la guerra, per mettere in ascolto reciproco vittime ed esecutori di violenza.
Vengo ora alle mie riflessioni in punta di diritto costituzionale.
Anche l’art. 11, primo comma, primo periodo, della nostra Costituzione “aggettiva” la parola «pace» (o meglio: la parola «guerra»). Dell’articolo, si legge spesso solo la prima parte («L’Italia ripudia la guerra…»), mentre più di rado la seconda parte («…come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali»). La nostra Costituzione, dunque, non ripudia la guerra in quanto tale: ad esempio, come strumento di legittima difesa, in linea d’altronde con la Carta delle Nazioni unite. E quanto il nostro Paese e l’Unione europea stanno compiendo a sostegno dell’Ucraina, si colloca proprio nell’ottica di misure volte a sostenere l’azione di contrasto da parte dell’Ucraina all’aggressione della Federazione russa (in diritto internazionale, si parla di contromisure» che, ovviamente, devono essere necessarie e proporzionate all’illecito internazionale compiuto).
Ma è il secondo periodo dell’art. 11, primo comma, della Costituzione a menzionare, questa volta espressamente, la parola «pace»: l’Italia, dispone infatti il secondo periodo, «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». È dunque la limitazione della sovranità statale che la Costituzione italiana vede come strumento per creare un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni. Erano le Nazioni unite l’ordinamento a cui pensavano i Padri costituenti quando redassero l’art. 11. È stata poi l’Unione europea a trovare fondamento proprio su quest’articolo.
Unione europea in cui, si auspica, l’Ucraina possa trovare presto accoglienza, per assicurare finalmente la pace a tutta l’Europa, affiancandosi ciò a quelle garanzie di sicurezza che realizzerebbero una pace giusta e duratura per l’Ucraina in primis e per l’intero Continente europeo.
Enrico Albanesi (Professore associato di diritto costituzionale Università di Genova)
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