rosone

9 Ottobre 2011 - Custodire la natura per l'accoglienza

Anche quest’anno, come da diversi anni a questa parte , a Penna S. Giovanni, l’Ufficio della Pastorale diocesana del Lavoro e del Sociale, in collaborazione con l’Associazione culturale: “Centro Studi Giuseppe Colucci” hanno promosso la “Festa del Creato”.
Al mattino di domenica 9 Ottobre, si è svolto il Convegno il cui titolo è stato “Custodire la natura per l’accoglienza”; le riflessioni che si sono susseguite hanno evidenziato lo stretto rapporto che c’è tra la vita dell’uomo e quella della natura.
 
Correlazione tra natura e accoglienza
A sostenere fin dall’inizio, la connessione tra la natura e l’uomo, è Stato Don Paolo Bascioni che, introducendo i lavori ci ha richiamati a riflettere sui due termini principali del titolo: natura ed accoglienza.
Natura nel suo senso filosofico ed anche scientifico prende il significato della sostanza costitutiva di ogni essere: essa sta ad indicare la differenza tra le diverse specie che ci sono nel cosmo: l’essere di natura animale non è lo stesso che essere di natura vegetale o umana e la differenziazione delle specie determina anche una scala di valori. In senso globale e universale per natura si deve intendere l’insieme degli esseri dell’Universo che costituiscono l’armonia dell’ordine cosmico che l’uomo oggi studia perché è in grado di comprendere, contemplare e meravigliarsi di fronte ad essa.
Inoltre, per natura si intende l’insieme dei caratteri di una superficie particolare del pianeta così come si è assestata e modificata nel tempo per effetto di eventi naturali, ma anche per effetto dell’intervento dell’uomo.
L’altro termine Accogliere significa mettere insieme, collegare, prendere su di sé, assumere su di sé, farsi responsabili del mondo e degli altri. E’il contrario di inospitalità e rifiuto, eppure se non lavoriamo per sostenere l’ambiente, certamente rischiamo di rifiutare l’altro e la nostra stessa vita.
 
 Madre terra nel ritorno alla natura nella predicazione francescana
La relazione di Padre Fabio FuriasseCome sempre il primo momento del Convegno si caratterizza per una riflessione sulla vita di San Francesco, che, in questa occasione, ci è stata proposta da Padre Fabio Furiasse.
Egli ha iniziato raccontando come i Frati francescani abbiano cercato di liberare la figura di San Francesco dall’immagine diffusa dalla cultura comune che nel tempo ha operato una divisione tra
il piano naturale e quello soprannaturale, tra la natura e la creazione, prescindendo dalla fede.
In Francesco d’Assisi c’è un messaggio infantile per cui il liber naturae ed il liber scripturae sono ambedue manifestazione di Dio; quindi la natura è la creazione, essa ha un’anima; tra l’uomo e la natura c’è una affinità tale che Francesco legge la condizione dell’uomo e quella della creature nei confronti di Dio allo stesso modo:
Considera uomo in quanta sublimità ti ha posto il Signore Dio nell’averti creato ad immagine del proprio Figlio secondo il corpo e la sua somiglianza secondo lo Spirito: eppure tutte le creature che sono sotto il cielo, ciascuna secondo il proprio essere servono, conoscono ed ubbidiscono al proprio creatore meglio di te”
Padre Fabio sottolinea come nel cantico di Frate Sole le creature sono lodate perché servono l’uomo umilmente facendosi strumenti della Provvidenza di Dio. Questa accoglienza, questa armonia è dovuta al fatto che tutte le creature servono Dio e si accolgono reciprocamente. Ma la Bibbia ci racconta di un trauma che è entrato nella natura, ad un certo punto l’uomo è ingannato ed il rapporto tra l’uomo e la terra si rompe. La terra, da questo momento si ribella, non può essere complice di Adamo nell’andare contro natura, si ribella tanto che è lei stessa ha denunciare l’uomo :
Che cosa hai fatto, la voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”.
L’immagine del sangue versato è insostenibile e la terra non può sopportare, ella compie una azione pietosa, beve il sangue, ma denuncia Caino. La natura resta fedele, mentre l’uomo compie azioni che vanno contro la vita.
Eppure in questa lacerazione che si è creata tra l’uomo e la terra, la terra non può venire meno al compito che gli è stato assegnato e continua a fare nei confronti dell’uomo quello che lui avrebbe dovuto fare: ella si prende cura dell’uomo finché egli non ritornerà alla terra, che è la via della salvezza.
Per evidenziare ancora meglio il pensiero di S. Francesco, Padre Fabio ci presenta due immagini molto belle: la prima ci ricorda il momento della morte di San Francesco quando ha chiesto ai suoi fratelli di essere spogliato nudo e posto sulla terra nuda per ritornare allo stato naturale.
La seconda ci viene da un’opera allegorica della seconda metà del ‘200 che i frati minori hanno consegnato all’arte ed alla cultura e racconta del matrimonio tra Francesco e Madonna Povertà.
In essa si racconta come dopo aver raccontato la sua vita, Madonna Povertà, invitata dai frati a restare con loro, chiede di vedere la loro casa; i frati la accolgono nella natura dove c’erano alcune capanne di paglia ed indicano una ciotola come loro piatto comune e la terra come loro letto.
Allora Madonna Povertà, contenta, si allunga sulla terra e dopo aver riposato chiede di vedere il loro chiostro; i frati la conducono sopra una collina e le indicano il mondo, perché essi ritornano all’interno della creazione.
Viene ancora sottolineato come Francesco conduce con la sua vita e con i suoi gesti, gli ascoltatori a scoprire il perché del ritorno alla terra per riportarci alle origini, all’albero del bene e del male, dove Adamo, ingannato dal serpente, ha creduto che la natura di Dio fosse il potere, il dominio;
invece il frutto di quell’albero è Gesù, un Dio nudo, umile come l’humus dal quale l’uomo è stato tratto. Il serpente ha inventato la storia che l’umiltà è umiliante, ma non è vero perché l’umiltà si chiama amore.
Francesco ci insegna a vivere con le virtù che lui ha tanto amato: la sapienza che ha come sorella la semplicità, la povertà che genera umiltà, la Santa Carità e l’Obbedienza che generano amore.
 
L’intento e le finalità del convegno, illustrato da Don Paolo Bascioni nel momento in cui ci ha richiamato al significato della parola accoglienza e la testimonianza di vita di Francesco che nel corso dei secoli ha dimostrato come si vive e si accoglie, sono apparse quasi concretamente suffragate dall’intervento della sociologa rurale Graziella Picchi nella relazione :
I saperi locali per la gestione e la conservazione del territorio.
La signora Graziella che ha raccolto una serie di testimonianze in Italia da contadini e da pastori sui saperi locali relativi alla produzione di cibo, riguardanti il formaggio, il pane e le conserve e l’olio, ha affermato che negli anni ha avuto modo di apprezzare ciò che nel passato gli uomini hanno fatto per collaborare con la creazione e per mantenere l’equilibrio che permette l’accoglienza anche delle future generazioni. Purtroppo in questo tempo l’abbandono delle buone pratiche agricole si ripercuote sui vari aspetti della natura rendendo l’ambiente poco accogliente e spesso pervaso di fenomeni pericolosi. Tante riflessioni sono state possibili con l’incontro e l’ascolto di un agronomo che vive ad Ussita, Nicola Rinaldi, che le ha parlato della gestione delle risorse di un territorio senza fare tanti investimenti sulle tecnologie.
Ella analizzando alcuni aspetti del nostro territorio italiano ed in particolare marchigiano, supportata da tante immagini, evidenzia alcuni aspetti inquietanti: ad esempio dimostra che, per quanto riguarda l’assetto idrogeologico nelle zone montane, le strutture che regimentavano le acque sono tutte interrate e le zone umide sono abbandonate a se stesse perché manca l’opera dei contadini anche grazie alle politiche comunitarie. Sempre nelle zone montane e precisamente nel Monte Petrano dove c’erano grandi praterie di narcisi il divieto di raccoglierli impedisce la riproduzione dei bulbi ed a poco a poco la cancellazione della specie senza tener conto che la loro raccolta, l’essiccazione e la lavorazione sarebbe fonte di posti di lavoro e permetterebbe alla natura di rigenerarsi senza perdere questa meravigliosa specie; i ricordi vanno a quando le donne facevano “la narcisata” raccogliendone a fasci per abbellire, profumare ed essiccare. Nei Pirenei ad esempio ciò viene attuato e sulla base di questa meravigliosa risorsa del territorio , ci sono cooperative di lavoratori che raccolgono, essiccano e fanno profumi. Allora perché non dobbiamo dare valore a queste risorse naturali?
Si rileva ancora che il passaggio dall’allevamento brado, all’allevamento a stabulazione fissa, e dai foraggi aziendali ai pannelli di soia ha destabilizzato e mandato a casa la stragrande maggioranza dei contadini tradizionali, perché il foraggio viene importato dall’America, sotto forma dei pannelli di soia che rispetto a quello che produci tradizionalmente, costa meno; è chiaro che dopo un po’ la produzione locale non avviene più; ma ciò rende le carni meno pregiate a vantaggio solo della quantità. Non viene neanche rispettata l’esigenza degli animali di non essere schiavizzati e si impedisce loro di scegliere le erbe che preferiscono; essi non camminando, vedono aumentato il colesterolo nel loro sangue e di conseguenza anche il nostro colesterolo aumenta.
Le nuove tecniche dell’agroindustria che sostituiscono del tutto le tecniche di conservazione e di trasformazione del cibo dell’artigianato alimentare, fanno perdere i saperi popolari, le tradizioni;
il pensiero unico anche della politica è favorire il mercato. La sostituzione delle varietà antiche con le moderne coltivazioni necessarie all’industria agroalimentare, ha causato una notevole erosione genetica di cereali, ortaggi e frutta. I formaggi industriali non hanno più sapore e sono difficilmente digeribili.
Molte sono le responsabilità della politica che ha sostituito in questi tempi l’interesse per il territorio e per le popolazioni che lo abitano con le leggi del mercato e del consumo; l’opera dell’uomo e le risorse naturali vengono misconosciute anche se potrebbero produrre ricchezza. Alcune leggi, come quella della protezione dei parchi nazionali, il divieto di raccogliere fiori nei boschi,sono solo due esempi di come si mettono in contraddizione l’attività umana e l’ambiente naturale, facendo venir meno l’armonia del creato in cui ogni essere concorre al benessere degli altri, mentre basterebbe regolare le attività umane con leggi razionali nel rispetto delle specificità dei territori.
Anche i mezzi di comunicazione promuovono solo l’immagine del prodotto avendo come unico fine la commercializzazione di esso, ma non ne promuovono la produzione.
Inoltre, a differenza degli altri Stati Europei in cui il contadino ha una radice che evoca una storia, qui da noi il contadino viene ancora inteso come il “servo del conte” ecco perché i giovani hanno abbandonato la campagna, lo stesso vale per il pastore la cui ricchezza di sapienza e di conoscenze nessuno più valorizza; alla cura della natura da cui l’uomo traeva sostentamento, è stato sostituito il “marketing”.
In futuro ci auguriamo per il nostro bene che il recupero dei saperi della tradizione, gli studi scientifici e sociali sulle risorse dei territori non siano più materia solo di pochi amanti, ai quali pure dobbiamo riconoscenza, ma sia cultura promossa dai media e dalla politica, anche se la responsabilità di rendere accogliente il mondo appartiene ad ognuno di noi, ai “gesti” che ogni giorno compiamo, all’ascolto ed al racconto di sapienze antiche, all’ascolto dei bisogni dei luoghi e delle persone ed al coraggio di esercitare ogni giorno le virtù di cui Francesco ha riempito la sua vita.
Il quintetto di fiati di Michelangelo MattiiDi pomeriggio la festa è continuata con il concerto di il Quintetto di fiati di Michelangelo Mattii; il titolo che il Quintetto ha voluto dare al concerto è stato “Melange d’a’ges” per esprimere un viaggio nel tempo e tra i generi musicali, in una altalena continua tra il classico e il contemporaneo. Abbiamo ascoltato arrangiamenti di celebri brani di opere liriche e di colonne sonore a cui si sono alternati brani di E.Teodori compositore della nostra terra che descrivono l’emozioni che scaturiscono da uno spettacolo pirotecnico e di una passeggiata a cavallo nelle colline marchigiane.

A conclusione della giornata il Vescovo cappuccino missionario Mons. Domenico Marinozzi, nella Chiesa di S. Francesco ha celebrato l’Eucaristia. Nella sua omelia ha riproposto la tematica dell’accoglienza fermandosi a sottolineare la responsabilità dell’uomo nel rendere accogliente il mondo. Il racconto di alcune sue esperienze di Vescovo missionario in Etiopia, ha reso testimonianza del lavoro dei Cappuccini nelle terre di missione, non solo per l’evangelizzazione, ma anche per accogliere una umanità sofferente.

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