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Riportiamo ciò che è realmente successo secondo cinque fonti locali
Da Syriatruth
26 aprile 2013
Il "massacro" avvenuto 3 giorni fa (il 22 aprile) nel sobborgo di Jdayert al-Fadel, a circa 15 km a sud-ovest di Damasco, secondo alcune fonti è il più grande dall'inizio della crisi siriana, due anni fa, ma ci sono molte divergenze circa il numero di morti, la dinamica e i responsabili.
Se l’"Osservatorio siriano per i diritti umani" di Londra inizialmente parla di circa 80 persone, il suo "coordinatore" in zona documenta 127 nomi di morti e afferma che 28 corpi sono stati trovati più tardi (ma la ricerca è ancora in corso). I "Comitati di coordinamento locali" (Lcc), da parte loro, hanno parlato di 476 persone.
Ma, a differenza della maggior parte degli episodi precedenti, in questo caso mancano quasi del tutto video e immagini. Ne è stato diffuso uno, suddiviso in tre parti, da fonti dell'opposizione, e notizie che circolano senza prove in grado di fornire un quadro preciso e oggettivo sull'accaduto.
Dopo tre giorni di controllo e revisione, il sito SyriaTruth ha ricostruito i fatti i sulla base di cinque fonti indipendenti della zona.
La storia è iniziata lo scorso lunedì 15 aprile, quando, in concomitanza con l'avvicinarsi della fine dei combattimenti nel vicino sobborgo di Daraya, diversi gruppi armati antigovernativi si sono diretti verso la zona di Jdaydet al-Fadel.
La città è stata quindi circondata dall'esercito, in modo che l'uscita fosse consentita unicamente attraverso il passaggio da posti di blocco militari (in particolare la barriera Faour in direzione di Damasco), mentre al contrario l'ingresso per gli armati era lasciato libero, in modo da creare una vera e propria trappola.
Una fonte locale ha dichiarato: "Abbiamo avuto la sensazione che qualcosa di grosso stava per accadere, ma non sapevamo cosa. Al di là dei movimenti sospetti in città, soprattutto nelle zone occidentali e nord-occidentali" e ha parlato di centinaia di militanti che hanno occupato la zona e le abitazioni private e la zona vicino all'ambulatorio.
Secondo le informazioni disponibili, l'esercito aveva saputo che centinaia di armati avevano iniziato a indirizzarsi verso la città, in vista di dichiararla "liberata". Alcuni erano parte dei gruppi fuggiti da Daraya nei giorni precedenti. L'intenzione dei militanti era occupare la zona per attaccare il vicino posto militare di Youssef al-Asma.
L'esercito, dal canto suo, attendeva intorno alla città, in attesa di attirare il maggior numero di militanti nell'imboscata, tra cui elementi di Jabhat al Nusra e dell'affiliata Brigata Forkan. Nel frattempo, i militari appostavano più di 700 tiratori sulle colline che dominano la zona.
Lo scorso lunedì 15 aprile, due ore prima dell'annunciata "ora zero" per l'attacco delle bande armate, le unità militari hanno avviato un primo attacco sui luoghi di concentrazione degli insorti, utilizzando diversi tipi di armi, con l'eccezione degli aerei.
Durante i quattro giorni di scontri, sono caduti quasi 600 armati, colpiti soprattutto dal tiro dei cecchini (come mostrano le poche immagini diffuse), i superstiti – secondo le fonti quasi nessuno – sono fuggiti verso i monti di Khan Sheikh (da cui erano arrivati), Doursha, Dar Khabye e altre zone limitrofe.
Un testimone oculare ha descritto quello che ha visto nella zona che si estende da via Sikka all'ambulatorio dicendo che era un "campo di cadaveri" e che dal suo balcone era riuscito a contare sulla strada più di settanta corpi di militanti.
Una fonte del Partito Democratico del Popolo ha detto che il numero di morti era di circa 550 morti, un'altra che erano oltre 600. Ma la cosa più importante è che il numero di civili innocenti che hanno perso la vita, secondo le fonti, non ha superato i 17, tra cui tre donne e un bambino.
In particolare una famiglia è stata utilizzata come scudi umani da militanti, secondo una fonte di quel quartiere.
Le fonti hanno confermato che le bande hanno anche bruciato una cinquantina di cadaveri durante i primi due giorni (pratica già utilizzata e documentata in altre zona del Paese, in particolare a Homs e Idleb). Stessa accusa era stata rivolta all’esercito dalle fonti dell’opposizione.
Tutte le fonti hanno confermato che la situazione nella città, che racchiude in sé rappresentanti delle diverse religioni ed etnie che compongono il territorio siriano, è tornata alla normalità due giorni fa: gli abitanti hanno ripreso possesso delle loro abitazioni, le famiglie hanno ripreso la loro quotidianità, l'assedio si è concluso e la popolazione può muoversi liberamente, ripristinati i servizi telefonici e l'elettricità nella regione, anche se non completamente, a causa di danni alla rete di comunicazione terrestre e alla rete elettrica.
SIRIA: JDAYET AL FADL, OPPOSTE VERSIONI SU UN “MASSACRO”
Domenica 21 aprile, alla vigilia dell’incontro a Bruxelles nel quale i ministri degli Esteri dell’Ue discutevano di Siria, i Comitati di coordinamento locale siriani e l’Osservatorio siriano dei diritti umani da Londra, organi d’informazione dell’opposizione armata, denunciano con tempismo: a Jdayet al Fadl, vicino a Damasco, ci sarebbe stato un bombardamento, ma poi centinaia di persone sarebbero state giustiziate, in maggioranza civili, con donne e bambini Il Messaggero cita gli Lcc, i comitati locali anti-regime, che precisano di temere rastrellamenti e denunciano che molti corpi sono stati dati alle fiamme. Il Tg Com 24 che aggiunge: “gli osservatori hanno confermato”, ma chi sono gli osservatori? Il Tg Com 24 lo precisa poi: il famoso Osservatorio siriano per i diritti umani, da Londra! Per l’Ansa: “112 persone uccise sono state individuate ma finora sono stati ritrovati più di 500 corpi”. Per la Reuters, a seconda delle fonti le cifre variano da 109 a 500 (la cifra più alta è fornita dall’organizzazione di “attivisti” Sawasiah che avrebbe intervistato i residenti. Secondo gli “attivisti”, i civili sarebbero stati uccisi perché solidarizzavano con i rifugiati da altre aree e con la resistenza armata.
Ma quali riscontri ci sono di questa versione? Oltre alla grande confusione sui numeri dei morti e sulla dinamica, quali prove vengono date? Da un giro in rete, i video forniti non provano nulla sulle circostanze, sui colpevoli e sullo status o l’età delle persone uccise. Che sembrano essere tutti uomini e giovani. Non saranno piuttosto dei combattenti, uccisi in questa sanguinosa guerra? Il numero dei cadaveri mostrati, poi, è molto inferiore alle cifre fornite.
E la versione opposta degli eventi, che nessuno ascolta? Quella fornita dalla tivù siriana mostra la popolazione del quartiere che sta riprendendo possesso delle case dopo l’arrivo dei soldati, che camminano nelle strade applauditi, con testimoni che raccontano dell’occupazione da parte di gruppi armati, che li avevano costretti a fuggire. Si vedono i corpi degli armati, legati a Jabhat al-Nusra; viene ridimensionato il numero degli uccisi (60-70) e il militare spiega che hanno cercato di portarli fuori dalla zona abitata per non mettere a rischio la vita degli abitanti ancora lì; si vedono le fosse comuni fatte dai "ribelli"; quelli intervistati verso la fine sono invece alcuni civili rapiti dalle bande e liberati dall'esercito.
Insomma, tutta un'altra storia. Padroni di non crederla, ma andrebbe riferita, insieme alle altre.
Un siriano la cui sorella abita in un quartiere adiacente, Yosef Al-Azmah, riferisce appunto che là si erano rifugiati diversi abitanti di Jdayet al-Fadl, tornati poi a casa dopo gli scontri e la “ripulitura” del quartiere da parte dell’esercito nazionale.
La Redazione di Sibialiria
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