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L'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, in un'intervista all'Avvenire
MILANO, martedì, 22 novembre 2011 (ZENIT.org) – “Nel popolo ambrosiano ho potuto cogliere la presenza attuale del Signore”. Lo ha dichiarato il cardinale Angelo Scola, in un’intervista ad Avvenire, a due mesi dal suo insediamento come Arcivescovo di Milano.
Ereditata dal cardinale Dionigi Tettamanzi la più popolosa, ricca e, per molti versi, prestigiosa diocesi d’Europa, il porporato ha detto che, per essere all’altezza del proprio compito, bisogna non dimenticare mai “la contemporaneità di Cristo”.
Altrimenti l’incarico pastorale rischia di trasformarsi in un “‘fare’ carico di generosità e ma spesso frammentato e, quindi, difficilmente comunicabile”. Il “baricentro” di questo “fare” dovrà sempre essere “un rapporto – quotidianamente rinnovato – con Gesù e con i fratelli”.
I veri cristiani, per essere convincenti, devono essere “umili” e, al tempo stesso mai “tiepidi”, secondo il titolare della diocesi ambrosiana.
Nei suoi incontri con le comunità di fedeli milanesi, il cardinale Scola ha dichiarato di aver trovato “mondi stimolanti” ed “una città cosciente di essere sul proscenio europeo e mondiale”.
Da parte sua l’arcivescovo di Milano ha sottolineato, negli stessi incontri, “l’unità della persona” come antidoto alla “frammentarietà”, causa di tanti “inconvenienti, anche a livello sociale”.
La vera genesi della società civile è, invece, la “filia” di aristotelica memoria, la “amicizia civica” che aiuta nel buon governo di qualunque istituzione: dalla famiglia all’Europa, passando per il condominio e la città.
Sulla scia della Caritas in Veritate di Benedetto XVI, il cardinale Scola ha invitato i suoi concittadini a riscoprire la logica del “gratuito” e del “dono”, del “valore oggettivo dell’opera in sé” a prescindere dall’“utile o dall’interesse che se ne può ricavare”.
“Se una città lucida come Milano sottovaluta questa idea del gratuito, non riuscirà a sprigionare tutto ciò che ha dentro in termini di risorse e prospettive”, ha osservato l’arcivescovo.
Va anche superato, secondo il cardinaleScola, il luogo comune secondo cui “i legami sono sentiti come un’obiezione alla libertà, mentre sono una condizione della nostra libertà”.
L’amore per il lavoro, tipico dei milanesi, poi, è positivo quando, per dirla con Peguy, rientra nel “gusto del lavoro” che “deve essere ben fatto, al di là del suo valore di mercato”, mentre diventa un problema se “vissuto in maniera separata dagli affetti”. Tutto ciò in considerazione del fatto che la Chiesa “è una grande famiglia, non un’azienda”.
Volgendo lo sguardo dalla realtà diocesana milanese all’intera realtà italiana, Scola ha osservato quanto nel nostro paese il cristianesimo sia “di popolo”, ovvero di un popolo legato, a vario titolo, ed in modo più o meno fervente “alla grande tradizione cristiana”, una realtà che, alla fine, è sempre in grado di recare “influsso benefico sulla società civile”.
Non è la legge, inoltre, a “fare un cittadino in senso pieno ma la virtù”, tanto è vero che San Tommaso affermava che “lo scopo della legge è educare a vivere secondo virtù”, ha aggiunto il porporato.
È per questo che non basta, secondo l’arcivescovo di Milano il pur “sacrosanto discorso su moralità e legalità”. Se non si vivono “atteggiamenti virtuosi” quel tipo di discorso “si scontra con la strutturale fragilità umana”.
Dell’Italia tutta il cardinale Scola sottolinea un “indubbio vantaggio: la nostra società civile è certamente la più ricca d’Europa”.
Un aspetto critico è invece rappresentato dalle “generazioni intermedie, dai 20 ai 60 anni” che appaiono “come sparite dalla vita ecclesiale, e spesso da quella civile, perché oppresse dall’affanno del quotidiano, dai ritmi di lavoro, dalle ferite affettive.
“Normalmente queste persone – ha proseguito Scola - non sono contrarie alla fede, ma non vedono più che cosa c’entri con la loro esistenza. Ecco perché l’azione della Chiesa deve spingersi negli ambienti di vita, tra le persone”.
Parlando dell’incontro mondiale delle famiglie, previsto per il maggio 2012, il cardinale Scola lo ha indicato come “un’occasione straordinariaper ricondurre a unità le dimensioni di vita comuni a ogni uomo: gli affetti, il lavoro, la festa”. Un grande banco di prova per Milano per misurare la propria ospitalità.
La partecipazione di papa Benedetto XVI al medesimo incontro sarà invece un’occasione per “capire la sua presenza ordinaria tra noi” e per “riscoprire questo fattore che dà pienezza e senso compiuto alla nostra chiesa Ambrosiana”.
Chiudendo l’intervista rispondendo ad una domanda riguardante il futuro dei giovani, il cardinale Scola ha ricordato che la vera educazione è trasmettere loro “il senso compiuto del vivere” e che la scuola e l’università vanno ripensate “in termini non solo di riforma strutturale ma di concezione”.
Sia il rapporto con il rendimento scolastico che l’approccio al mondo del lavoro non potranno essere di tipo “puramente strumentale”. “Al di fuori di questo largo orizzonte, ogni discorso rivolto ai giovani suona demagogico”, ha poi concluso il porporato.
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