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Assunzione della Beata Vergine Maria
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Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata dall'Arcivescovo Rocco nel solenne Pontificale

Fermo, 15 agosto 2021

 

Chi entra nella nostra Cattedrale viene catturato dal mistero dell’Assunzione di Maria innalzata alla gloria del cielo in corpo e anima attraverso la grandiosa scultura di Varlè che si staglia in fondo al Duomo. Vi suggerisco, a mo’ di percorso spirituale, di accostarvi alle dodici foto dell’Assunta scattate da Alex Maré, su un’idea del rettore don Michele Rogante, che potete ammirare nella Cappella dell’Immacolata e ritraggono la Madonna da angolature particolari, mai finora riprodotte. Così, più da vicino, guarderemo la “donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”. L’autore dell’Apocalisse non sa come esprimere il trionfo nel cielo di questa donna, che noi associamo all’Assunzione di Maria che, si potrebbe dire, è la sua risurrezione, anticipo del nostro trionfo sulla morte. Il primo pensiero allora, è rimotivare questa elementare ma decisiva verità della nostra fede, spesso trascurata: risorgeremo con l’anima e col corpo.

La Tradizione, dicevamo, vede nella donna dell’Apocalisse Maria, figura della Chiesa, che genera nel tempo Cristo (il bambino che sta per partorire) e perciò è continuamente minacciata dal Drago. Giovanni, autore del libro, esprime in simboli l’eterno conflitto tra bene e male, tra il Signore e satana, tra la mentalità mondana e lo spirito del vangelo. Sarà una donna, sotto la protezione da Dio, a vincere il male, il serpente antico, colei che genera Cristo, autore della vita. La vittoria, però, non è a costo zero: Paolo, nella seconda lettura, ci ricorda che risorgeranno alla sua venuta, “quelli che sono di Cristo”. Per essere anche noi tra questi, ancora una volta guardiamo a Maria, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato.

All’Annunciazione, Maria non aveva richiesto un “segnale stradale” che confermasse la sua gravidanza. L’invito dell’angelo a rallegrarsi per la presenza del Signore la rassicurò sulla verità della parola ricevuta. Posto tra l’Annunciazione e la nascita di Gesù, il Magnificat che abbiamo meditato nel Vangelo è un inno gioioso che nasce dalla consapevolezza della vicinanza del Signore nella storia e nella vita personale. Due donne sono protagoniste, con due inni di lode in cui si incontrano l’ispirazione di Dio e la sensibilità tutta femminile di vedere ed intuire la storia.

Anche noi, che celebriamo la nostra Patrona, meditando questo Vangelo siamo certi della vicinanza del Signore, una vicinanza sostenuta da Maria, che ci accompagna nel cammino.

Spinta dallo Spirito Santo, Ella crede all’annuncio e “si muove in fretta”, mossa da un impulso di fraternità: il Signore che ha in grembo si manifesta nei segni che dissemina nella storia. E per lei il segno è la gravidanza di Elisabetta che ha bisogno d’aiuto. L’anziana donna, a sua volta, intuisce subito la scelta misteriosa di cui la sua giovane parente è stata oggetto; si rallegra con Maria che ha creduto e le predice la gloria che gliene verrà.

Il primo dato, allora, è muoversi. Anche la nostra vita è posta, come Maria, tra promessa e compimento ma se non ci muoviamo – e in fretta – non riusciamo a scorgere la presenza di Dio, né ad annunciarlo. Non si tratta semplicemente di mettere in cantiere iniziative, né di opere da costruire ma innanzitutto di uscire fuori dal torpore delle nostre precomprensioni, dei nostri pregiudizi, della nostra idea di Chiesa e della nostra idea di mondo, sempre a rischio di intimismo o, nel caso del mondo, di condanna. Ci si può muovere anche solo con lo sguardo, col discernimento comunitario, con una parola appropriata, con un gesto di responsabilità e di perdono. Come non interrogarsi oggi, sulla condizione dei giovani e delle famiglie, ancora frastornati e provati dalla pandemia? Come non interrogarsi su quanto accade nel mondo, soprattutto ai più disperati? Solo due esempi di questi giorni: la popolazione dell’Afghanistan che, ancora una volta dovrà fare i conti col fondamentalismo; il terremoto di Haiti che sta mietendo innumerevoli vittime. Tutti gli esperti, inoltre, ci ricordano la responsabilità di estendere la possibilità del vaccino a tutte le nazioni, specie quelle fragili. E, infine, ma non ultima, la cura della casa comune, dell’ambiente in cui viviamo, che abbiamo la tremenda responsabilità di consegnare alle future generazioni.

Muoversi per essere responsabili sono due atteggiamenti che sicuramente ci fanno incontrare il Signore. Il percorso sinodale che tutte le chiese sono chiamate a compiere nei prossimi anni ci aiuti a riscoprire le rinnovate presenze di Dio nella nostra storia.

Maria si è mossa e alla luce di ciò che vede compiersi nella storia di Elisabetta, comprende che la sua esperienza di Dio è vera. Celebra le meraviglie che il Signore ha compiuto in lei, proietta la sua mente al di sopra di se stessa, fissa lo sguardo alla luce e si mette al cospetto di Dio. Maria parla anche di noi, riuniti per la festa dell’Assunta, che siamo tra quelle generazioni che la chiameranno beata.

La lode di Maria contempla le promesse fatte ad Abramo e l’azione potente di Dio che, senza nostro merito, compie attraverso di noi molto più di quanto possiamo prevedere, a condizione che ne sentiamo la vicinanza. Non è una gioia fatua, come quella passeggera che ci rallegra per un momento… Non lasciamoci ingannare da promesse di benessere e di pace che nascono da chiusure: sono destinate a generare tristezza. La gioia del cristiano è “dentro”, nella grazia che la sua anima ha in Dio. Essa è compatibile col dolore, con la malattia, con le contrarietà, con le difficoltà di accogliere, integrare e condividere. Nulla è più anticristiano della chiusura, nulla è più autenticamente cristiano della gioia: se Cristo, che si rispecchia nel volto dell’Altro ne è l’oggetto, la gioia è contagiosa e chi ci sta vicino ne resta colpito. Nasce la gioia quando sperimentiamo la sua misericordia ricevuta e donata ma occorre essere umili: chi è troppo occupato di sé difficilmente si aprirà alla presenza di Cristo. Invece, chi accoglie e si prende cura, è responsabile, sperimenta gioia, umiltà, misericordia… atteggiamenti indispensabili per riconoscere vicino il Signore.

Maria comincia a vedere la storia con gli occhi di Dio, che può ribaltare la situazione politica (saranno invertiti i rapporti di forza tra potenti e deboli) e sociale (ribaltate le condizioni del benessere). Il nuovo ordine è un inno a nome di tutti i poveri: questo farà il Signore, a questo sono chiamati i suoi discepoli. La storia che Dio costruisce non passa per la logica del potere, della ricchezza, delle pretese umane di costruire o di comandare la storia; passa invece per le vie più assurde, ad esempio la nascita del Figlio di Dio per il seno di una donna vergine, un crocifisso che porta la salvezza al mondo, una tomba che si spalanca e vince la morte, un grido di aiuto ascoltato ed accolto.

Siamo inseriti in una storia di benedizione che, nella fede, possiamo far progredire o no. Dio è imprevedibile, sconvolge i piani dell’uomo: abbiamo il dovere di comprendere quando le azioni di Dio incontrano le deviazioni umane e agire di conseguenza, muovendoci in fretta, imparando ad interpretare la storia con gli occhi di Dio per innestare in essa piccoli segni di cambiamento nella direzione auspicata dal Magnificat.

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente; lasciamo che ancora oggi, nella nostra Chiesa, nella nostra città, il Signore continui a compiere grandi cose. La nostra diocesi, la nostra città da tempo sono impegnate in iniziative che tante persone di buona volontà portano avanti con gioia e senza clamore, i nostri segni di carità dicono l’incarnazione di Dio in mezzo al suo popolo e restano il modo più efficace per portare agli altri il Signore Gesù.

I valori umani di cui siamo orgogliosi, la storia che ci precede e ci accompagna, ci spingano ad attivarci sempre di più perché siamo di Cristo per essere veramente cristiani perché pienamente umani.

 

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