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Il saluto di Don Domenico Pompili

don domenico pompiliDirettore Comunicazioni Sociali CEI

Innanzitutto un caloroso saluto ai comunicatori della millenaria e solida Chiesa fermana, del suo Arcivescovo Mons. Luigi Conti e dello staff che si è preso cura di realizzare e far decollare un moderno e completo sito diocesano.

E’ indubbia un’attenzione diffusa e consistente del mondo cattolico verso le nuove tecnologie.

...


 

Le opportunità della rete per incontrare l’uomo di oggi; una questione che suscita non più semplice curiosità, ma che modifica costantemente il nostro vivere quotidiano.

Non sono mancati peraltro in questi anni pertinenti pronunciamenti da parte del Magistero.

Ultimo in ordine di tempo, l’annunciato Messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali: ”Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia” che lascia chiaramente immaginare – e in modo dichiaratamente propositivo – che in questo ambito si gioca una partita importante dell’umano.

E oggi siamo di nuovo insieme perché siamo ormai al tempo del Web 2.0. Siamo passati cioè dalla semplice fruizione di contenuti elaborati da altri (come avveniva

sostanzialmente nel Web 1.0) alla costruzione e condivisione degli stessi (come suggerisce l’esplosione dei blog), per arrivare ai nostri giorni in cui si assiste alla

realizzazione di un “reale universo virtuale”, non necessariamente alternativo al mondo fisico reale.

Là dove le conquiste tecniche iniziano a intervenire, modificandoli, sugli stili di vita, si sviluppa rapidamente attorno ad esse una certa aura di sacralità. Non c’è da meravigliarsi: lo sbalordimento, la confusione, e certo anche la paura che da esse proviene rispondono ai criteri basilari dellafenomenologia religiosa: agiscono come Fascinosum e Tremendum”, ha scritto Klaus Müller (cfr. A. FABRIS, Etica del virtuale, Milano 2007, 35).

Proprio la nostra condizione di immigranti digitali ci aiuterà a valutare meglio questa nuova condizione, confermando l’intuizione di Kierkegaard per il quale essere davvero contemporanei richiede una sorta di distanza dall’oggetto, senza lasciarci appiattire su di esso.

 

Vorrei, per concludere questo mio saluto alla Chiesa fermana, confidarvi alcune domande.

Sostanzialmente sono tre e mi auguro che l’ascolto e la condivisione che certo non mancherà aiuteranno a dipanare qualche matassa che sta dietro alle mie interrogazioni personali.

La prima verte comprensibilmente sulla relazione tra virtuale e reale. E suona così: è giusto continuare a contrapporre il virtuale al reale? E d’altra parte in che modo le due esperienze, obiettivamente diverse, possono integrarsi? Non vi è dubbio che ci siano in giro difensori entusiasti del virtuale che tendono a minimizzare il suo impatto, così come vi sono ostinati detrattori del virtuale che vorrebbe descriverlo necessariamente come antitesi all’umano.

La seconda domanda è relativa a questo nuovo individualismo che cresce e che il sociologo spagnolo Castells non ha esitato a definire ‘networked individualism’ per evocare singoli che rescindono i legami con il territorio circostante, salvo poi moltiplicare le connessioni, magari su Facebook. Mi chiedo in che modo questo individualismo interconnesso ridisegna il territorio umano e dunque la dinamica relazionale?

La terza domanda – e qui mi spingo dichiaratamente dentro il contesto ecclesiale - è quella che si muove tra identità e linguaggi. Mi chiedo cioè in che modo è possibile avere in Rete una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi scontati o peggio indecifrabili? Non vi è dubbio che è cresciuto il rapporto con la Rete, ma la domanda resta: come dobbiamo essere noi stessi, fino in fondo, senza per questo assumere uno stile linguistico desueto, quando non tautologico, cioè ripetitivo?

Mi ha colpito un’affermazione di Robert Delaunay, citata da Merleau-Ponty nell’Occhio e lo spirito: “Sono a Pietroburgo nel mio letto; a Parigi i miei occhi vedono il sole” (cfr. R., DIODATO, Estetica del virtuale, Milano, 2005).

Il mio augurio è quello di ricomporre il puzzle della nostra esistenza e perfino della nostra corporeità, mettendo di nuovo insieme almeno i piedi e gli occhi.

 

Buon lavoro!
 
Don Domenico Pompili

Direttore Comunicazioni Sociali CEI

 

 

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