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Gli interventi dell'evento conclusivo del Festival
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Tutti i relatori si sono trovati d’accordo nel sostenere che le varie realtà informative cattoliche devono sentirsi parte di un sistema comunicativo in cui è necessario un progetto unitario con la scuola e le famiglie che parta dalla conoscenza attenta del territorio

Vincenzo Corrado, direttore nazionale Ufficio comunicazioni sociali della Cei, don Simone Bruno, direttore de ‘Il Giornalino’, Riccardo Maccioni, caporedattore di Avvenire, e Vincenzo Varagona, presidente nazionale Ucsi (Unione cattolica stampa italiana), si sono confrontati sulle prospettive comunicative della Chiesa, al suo interno e nel mondo, in un’era sempre più digitale e connessa, a chiusura di un’interessantissima edizione del Festival nazionale della comunicazione, ospitata per dieci giorni dalla diocesi di Fermo.

 

Maccioni ha sottolineato come sia possibile stabilire un dialogo religioso anche sui social, facendo una selezione sui temi e ponendosi in una posizione di testimonianza nei confronti del popolo della rete: “A stimolarci – ha sottolineato – è il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che invita a coltivare la speranza cristiana, evidenziando che il Padre buono è sempre presente nella nostra vita. Come testimoniarlo sui social, dove ci definiamo amici con persone mai viste? Innanzitutto, costruendo un dialogo mostrando il nostro vissuto”.

Il caporedattore di Avvenire ha anche ricordato un altro elemento fondamentale sottolineato da Papa Leone XIV: “Puntare sempre alla ricerca e alla comunicazione della verità. Un popolo libero, come dice Prevost, è un popolo informato, per essere informati occorre essere liberi. Quindi speranza e verità devono far parte di un progetto comunitario”.

 

Vincenzo Corrado ha condiviso questa riflessione, soffermandosi poi sulla peculiarità della Chiesa italiana dai mille campanili, che ha la sua ricchezza proprio nella capillarità. “Questa ricchezza – ha detto – deve confrontarsi con gli sviluppi del nostro tempo, la nostra comunicazione non deve scimmiottare la tecnologia in voga, ma posizionandosi nel momento storico facendo in modo che diventi uno slancio e non un ostacolo. Occorre porsi in dialogo con il tempo, non rimanere semplici spettatori di ciò che avviene. I nostri circuiti informativi devono farsi sistema per trasmettere il senso di appartenenza e offrire una vera comunicazione relazionale. E cercare di parlare di più, come auspicato da Papa Francesco, al cuore delle persone”

Don Simone Bruno ha spiegato che nella complessità attuale del fenomeno comunicativo, la Chiesa debba partire dalle fondamenta della comunicazione per trovare il modo più appropriato. “Con ‘Il Giornalino’ – ha raccontato – abbiano cercato di tutelare lo sviluppo dei bambini con escamotage adatti a sviluppare la loro capacità di apprendimento. Già nel 1924, il nostro fondatore Don Alberione, aveva individuato il fumetto come linguaggio appropriato e noi, anche nell’era dello scrolling e dello schermo, puntiamo sul tocco come esperienza principale dei bambini, trasportando la rete nel supporto cartaceo, ottenendo buoni risultati”.

      

Tutti i relatori si sono trovati d’accordo nel sostenere che le varie realtà informative cattoliche devono sentirsi parte di un sistema comunicativo in cui è necessario un progetto unitario con la scuola e le famiglie che parta dalla conoscenza attenta del territorio. “Si ha sempre l’impressione – ha chiosato Vincenzo Varagona – che si facciano pochi passi avanti, anzi si rischi di tornare indietro. Poi ti accorgi che non è così. E’ un po’ come portare acqua con il setaccio. L’acqua non arriva mai a destinazione, ma nel frattempo il setaccio, da opaco e semi arrugginito, è tornato lucente. Non è poco”.

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