Lazar Joel Nomo Atangana
Lazar Joel Nomo Atangana
Dialogo con un amico curioso…
Amico: buongiorno carissimo Joel, sono lieto di poter dialogare con te oggi, e di toccare un argomento che mi incuriosisce da un po’ di tempo. Si tratta del percorso di fede che stai facendo, ossia la tua preparazione alla vita sacerdotale. Ho sempre ritenuto queste scelte, come degne di attenzione e di rispetto. Perciò, oggi ho desiderato questo confronto con te per sentire da vivo la tua storia. E dato che questo momento di scambio mi aiuterà a portarlo come testimonianza ad alcune persone animate dalla medesima curiosità, ti chiederei di presentarti prima di tutto.
Joel : buongiorno, mi chiamo Joel Nomo, nato in Camerun il 07 febbraio 1989. Sono il secondo di una famiglia di sei figli. Ho avuto la grazia di nascere in una famiglia cristiana, in cui ho acquisito la fede, quando i miei genitori mi hanno presentato al battesimo l’8 aprile 1989. Sono un seminarista della diocesi di Obala, in Camerun. Ora sto in seminario a Fermo per proseguire appunto questa mia formazione in vista del sacerdozio iniziata nella mia nazione. Sto facendo il quinto anno.
Amico: Ti faccio una domanda diretta: com’è avvenuto il tuo incontro col Signore che giustifica questa tua scelta?
Joel : Direi subito che quello che chiami incontro, lo chiamerei presenza. Perché sono convinto che il Signore sia presente nella mia vita sin dal giorno della mia nascita. Ed è una presenza che riveste diversi mantelli. Non vorrei soffermarmi più di tanto su quest’ultimi, ma intendo dire che la sua presenza si intravvede sempre attraverso la presenza degli altri. Che cosa intendo dire? Che la mia vita e la mia vocazione non hanno mai sofferto di solitudine, ma di una presenza e un sostegno sempre efficienti di tante persone che il Signore ha messo sulla mia strada. Vorrei fare un memoriale di questa presenza raccontando brevemente il mio cammino che mi ha portato fino a quest’oggi.
La prima cosa fondamentale è l’influenza della mia famiglia, ovvero i miei genitori. Sono loro ad avermi introdotto nella fede cristiana. Sono stati quelli che hanno permesso questo incontro col Signore nel battesimo, nei loro insegnamenti. E sì, i miei genitori sono stati i miei primi catechisti. Mi hanno dato il gusto e l’amore di Dio e della Chiesa. E poi, mi hanno accompagnato sempre in questa logica di introduzione ai misteri di Dio, permettendomi di frequentare la parrocchia, le scuole cattoliche, di partecipare ad attività di carattere cattolico e ecclesiale. Per me, era già una base importantissima per poter affrontare altre sfide. E così, è nato il desiderio di scoprire il seminario di cui avevo solo informazioni per sentito dire. È un desiderio suscitato anche vedendo la figura del prete. Direi dunque che il mio ingresso in seminario era solo frutto di una curiosità, ma nutrita e motivata da questa base ricevuta dai miei genitori e dalla parrocchia.
La seconda cosa che voglio dire, e che considero non di importanza minore è la vita in seminario. In modo più preciso, sto parlando del seminario minore nel quale sono entrato a undici anni. È stata una scelta, sinceramente, molto inconsapevole. Non avevo nessuna pretesa al sacerdozio. Era solo per soddisfare una curiosità e andare in avventura. Ma ero fiducioso in quella presenza che percepivo poco, cioè, di cui ero meno cosciente a causa della giovane età. L’esperienza è stata ricca, bella, ma anche faticoso. La prima difficoltà maggiore era il distacco dalla famiglia per accogliere sconosciuti. Tante sono state le difficoltà, ma col passare del tempo si sono rivelate punti d’appoggio, sono state quelle che mi hanno aiutato a crescere. E mi ci sono trovato subito molto bene. Per me era una ricchezza incontrare volti nuovi, modi di fare nuovi e diversi dai soliti acquisiti a casa, imparare da altri, partecipare all’eucaristia ogni giorno, stare con i sacerdoti, condividere la stessa quotidianità con tanti altri ragazzi, pregare tutti i giorni… ci ho trascorso sette anni fino alla maturità. Ma prima devo dire che, a diciassette anni, sentivo già questa volontà di offrirmi al Signore ancor di più mediante la scelta del sacerdozio. Desiderio maturato insieme ad altri educatori, ai miei genitori, ai miei compagni di classe, alcuni parenti di fiducia. Finalmente dopo la maturità, a diciotto anni, sono entrato in seminario maggiore. E a questo punto, il cammino diventava specifico, era esplicito la preparazione al ministero sacerdotale. Ritengo ancora provvidenziale la presenza di quelli che mi stavano intorno, perché sono stati utili e indispensabili per la mia crescita intellettuale, spirituale e umana. Il seminario maggiore mi ha inculcato il senso del principio, il senso della responsabilità, ma più importante ancora, l’amore del sacerdozio che comporta ovviamente alla base l’innamoramento di Cristo e della sua sposa: la Chiesa. Mi ha confermato l’importanza della famiglia, del vivere insieme, della compagnia, del discepolato. Di quella esperienza, ho imparato il rispetto della persona umana, cioè dell’altro. Perché l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Un’altra fase significativa è il mio invio in Italia dal mio Vescovo, qui a Fermo per portare avanti la mia formazione. Dopo gli studi in filosofia in Camerun, si trattava di fare la teologia a Fermo. E questo fatto comportava anche ulteriori sacrifici. Era l’inizio di un’altra avventura più impegnativa che richiedeva determinazioni personali e affidamento al Signore. Qui il distacco era multidimensionale. Comunque di fronte a questa nuova sfida, non ho distolto lo sguardo da Colui che avevo scelto da molto tempo e che era sempre stato presente in vita mia. Debbo dire che all’inizio credevo di non essere in grado di assumere tale incarico, che mi sembrava troppo esigente. Però, riconoscere quella presenza del Signore mi costringeva a non allontanarmi da lui, anzi mi spingeva a rispondere favorevolmente alla sua chiamata e a seguirlo in tutti i luoghi in cui potevo compiere la sua volontà. Di fatto, questo è avvenuto nella preghiera, nel confronto con altri individui credibili. Ed è così che ho accolto questo mandato come risposta alla mia vocazione, come realizzazione del disegno divino. Ed è così che si vive l’universalità della Chiesa, quando si è chiamato a servire in ogni parte della terra dov’è presente il popolo di Dio.
L’esperienza a Fermo è stata determinante, ed è il motivo per cui la ritengo come terzo punto essenziale che mi ha fatto sperimentare questo incontro-presenza del Signore. Nell’incontro con un’altra cultura, un’altra lingua, un altro sistema scolastico… esigeva di me pazienza, umiltà, apertura, comprensione, attenzione, prudenza e ascolto. Ecco che ho dovuto affidarmi di nuovo a persone diverse da me. Mi ha permesso di riscoprire la bellezza e la ricchezza della diversità. Quest’ultima diventa condizione non irrilevante per raggiungere l’unità e la comunione. È stata l’esperienza dello spogliamento dalle mie sicurezze per rivestire quelle degli altri. È stato un morire in me stesso per accogliere l’altro. Tutto questo è stato possibile perché ho incontrato persone di fede, che senza risparmiarsi, si sono preoccupate di darmi un posto nel loro biotopo. È stata l’occasione per me di maturare, di prendere coscienza della mia vita, della mia scelta e della mia vocazione. Non ho la pretesa di dirti che mi sono inserito in questa novità vitale senza alcuna fatica, anzi, ho sperimentato sulla pelle il peso di essere straniero, ho sofferto la mancanza della propria terra, dei parenti, amici, di quello che era già per me acquisito, scontato e patrimonio. Adesso che sono giunto all’ultimo anno di seminario, cerco di vivere al meglio questo momento formativo. Particolarmente, è un anno in cui sento il peso di tutti questi anni di cammino in seminario. E mi accorgo che questo periodo di formazione è stato per me necessario non solo per crescere nella fede, ma anche per curare la mia umanità, per raggiungere una certa maturità umana. Poi riconosco in questo tempo di seminario la possibilità dell’apprendimento, dello studio e della ricerca. Sicuramente mi è servito anche per creare un rapporto profondo col Signore nella preghiera, e soprattutto nei sacramenti. Mi è stato di un grande interesse perché sono stato educato e cresciuto dalla Chiesa attraverso l’esperienza pastorale e sempre in relazione con gli altri ministeri della stessa Chiesa.
Amico: Mi piacerebbe sapere i motivi per cui hai deciso di dare la tua vita al Signore per mezzo del ministero sacro.
Joel : Se ti rispondessi chiaramente dicendo che queste sono le motivazioni, ti ingannerei. Ma posso dire che la mia scelta posa su alcuni elementi che ritengo indispensabili, unici e insostituibili. E li ho scoperti e maturati cammino facendo. Primariamente, tutto parte dalla mia scelta di Dio, che per me è il centro della mia vita. E con lui ho sempre cercato un rapporto di affidamento. Poi, la nozione di servizio potrebbe essere un altro indicatore. Faccio questo cammino per farmi servo di tutti all’immagine di Cristo. Occorre sottolineare che questa categoria non è ancora ammaestrata da me, anzi, sto cercando di farmi sconvolgere da dentro e fare del servizio non un’imposizione, un obbligo, oppure viverlo esternamente, o come una catena che mi impedisce di costruire con gli altri un rapporto vero, ma di assumerla come propria, lasciandomi avvolgere da essa e che sia oramai profondamente legata alla mia indole. Un ultimo dato collegato con i due primi è vivere qualitativamente l’eucaristia e lasciarmi trasformare da essa. Infatti, come la Chiesa vive dell’eucaristia, è altrettanto per il presbitero. Credo che si tratti non solo di celebrare questo mistero, ma anche di viverlo nel mio quotidiano, attuandolo nella mia vita e diventando così testimone dello stesso mistero e di Cristo morto e risorto. Debbo dire sommariamente che questi tre elementi sono alla base di questa mia scelta: uno trascendentale o soprannaturale, un altro di carattere esistenziale ma che ha a che fare con la teologia, e poi un ultimo di natura sacramentale e corrispondente alla mia fede.
Amico : Permettimi di farti un’ ultima domanda. Ora che sei alla fine di questo lungo cammino iniziato da tanto tempo, e che ti inserisce in un altro percorso più radicale, che sentimenti hai?
Joel : Per rispondere alla tua domanda, ti cito un testo biblico che descrive e riassume tutti i miei sentimenti in questo momento: “ Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti “ (Fil 4,4). Questa esortazione di San Paolo ai Filippesi dice esplicitamente e in modo incisivo la gioia procurata dall’essere nel Signore. In pratica è la conseguenza della relazione vera e profonda che possa esistere tra una persona e Dio. È Dio che dà la vera felicità. Dall’essere radicato in Cristo, scaturisce questa gioia misteriosa che nessuno può spiegare. Infatti, questa è la mia vita: la gioia nel Signore. Dando uno sguardo al mio cammino, questa presenza del Signore sempre rinnovata costituisce per me un motivo di letizia. E l’esperienza del rimanere nel Signore mi dà gioia e felicità. Quindi penso sia questo l’unico sforzo dell’uomo, rimanere in questo amore del Signore. È lui che chiama, è lui che fa il più importante, ed io devo solo rimanere in lui. Ecco il sentimento che mi anima ora. Ed è anche l’occasione per me di ringraziarlo per questa sua presenza permanente nella mia vita, che mi porta a rimanere in Lui attraverso anche questa scelta vocazionale del sacerdozio. Caro amico, sappi che il signore ci ama, ti ama e mai ti abbandonerà, perché “ la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil 4, 7). Non avere paura di seguirlo, dovunque ti chiamerà, perché non verrà mai meno la sua presenza che si manifesta in vari modi. Non avere paura di rimanere in Lui, solo perché Lui non smette di starti vicino per realizzare il suo progetto nella tua vita.
Eventi dalla diocesi
Presso il Santuario di Santa Maria della Misericordia di Petriolo, luogo giubilare pro hac vice
Presso la chiesa di Santa Maria a pié di Chienti a Montecosaro