Andrea Pizzichini
Andrea Pizzichini
Parlare della propria vocazione credo non sia mai facile, se non altro perché, all’interno di una esistenza del tutto normale come la mia, senza fatti eclatanti, può risultare un po’ difficile individuare il momento in cui si diventa consapevoli del fatto che il Signore ha riservato per la propria vita qualcosa di diverso rispetto a quanto si era preventivato. Infatti provengo da una famiglia vicina alla Chiesa, seppure non direttamente impegnata nella vita parrocchiale; ho ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana come la stragrande maggioranza dei miei coetanei e, come loro, dopo la Cresima cominciai a farmi un po’ meno vivo in parrocchia.
In realtà non abbandonai del tutto la pratica dei sacramenti, anche se le motivazioni circa la mia appartenenza alla Chiesa si erano certamente indebolite. Però, quello dell’adolescenza fu anche un periodo di intensa ricerca, per quanto inconsapevole, di Dio.
Un primo “scossone” ci fu quando un giorno venni provocato da un sacerdote con la seguente domanda: «cosa cerchi per la tua vita?».
Lì per lì ebbi quasi una reazione stizzita, quella cioè che si prova quando ci viene rivolta una domanda talmente ovvia da non essere nemmeno meritevole di risposta. Infatti, quella che mi davo era: «la felicità» e immaginavo fosse scontato che tutti la desiderassero. Tuttavia, quando andai a considerare in che cosa consistesse davvero quella felicità che andavo cercando, la sorpresa fu che non vi trovai un bel niente. Semplicemente, mi accorsi che fino ad allora non avevo fatto altro che camminare in tondo, senza tendere verso una vera meta né, tantomeno, arrivarci. Seguivo un’aspirazione interiore, un desiderio profondo, ma senza riempirlo di contenuti veri, senza dargli effettiva soddisfazione.
Capii, dunque, che se davvero volevo raggiungere quella felicità cui tendevo – e che in qualche modo intuivo essere legata alla comunione con Dio – dovevo come prima cosa ritornare pienamente in quella Chiesa da cui stavo progressivamente scivolando via.
Da lì iniziò un periodo che potrei paragonare a quello di un deserto: dopo anni, posso ora dire che fu veramente un periodo di progressiva purificazione interiore e correzione di certi atteggiamenti e idee, a cui si legava, in parallelo, una sempre più convinta adesione alla Chiesa e alla pratica dei sacramenti.
Un periodo importante e prezioso nel mio cammino di crescita spirituale fu, inoltre, la frequentazione del Gruppo Giovani presso la parrocchia di Cristo Re di Civitanova Marche sotto la guida di don Raoul Stortoni. È lì che ho potuto sperimentare per la prima volta una integrazione più autentica nella vita parrocchiale ed ecclesiale, nonché approfondire la mia fede scoprendone tutta la bellezza e ricchezza: senza dubbio, riconosco che nacque in quell’occasione il primo germe della mia vocazione.
Nel frattempo cominciai l’università, in un ramo che – diciamo – non era particolarmente legato alla fede: l’Ingegneria Aerospaziale. Al di là delle tante stupidaggini che capita di sentire su una presunta incompatibilità tra scienza e religione, uno dei guadagni che ho ottenuto dai miei studi scientifici è stato il toccare con mano che fede e ragione non si oppongono tra loro ma, anzi, si rafforzano a vicenda, pur operando ciascuna in ambiti diversi. Oltre a ciò, ebbi anche modo di constatare come una parte molto consistente dei miei coetanei vivesse semplicemente prescindendo dalla fede in Cristo senza nemmeno avere la necessità di sostenere posizioni particolarmente critiche nei confronti della Chiesa.
Andando avanti con i miei studi, con una specializzazione che prometteva di portarmi sempre più in “alto” – avevo iniziato gli studi di Ingegneria Astronautica – entrambe le impressioni non poterono che essere rafforzate, avendo avuto anche l’occasione di recarmi all’estero.
L’esperienza decisiva avvenne, però, durante il tempo della preparazione della mia tesi di laurea. Ebbi infatti l’opportunità di recarmi a Madrid per un progetto di lavoro semestrale presso un’azienda del posto con la prospettiva di essere assunto nel settore – cosa quanto mai preziosa per un neolaureato!
Eppure, fu allora che, a più di duemila chilometri da casa, lontano da tutti e da tutto, di fronte alla concreta possibilità di lasciare il mio Paese per una carriera che mi avrebbe portato chissà dove, quella semplice domanda iniziale: «che cerchi?» si ripresentò con una delicata fermezza.
Ancora ricordo quella mattina invernale in cui mi fermai a fissare la facciata dell’edificio ove svolgevo il mio stage lavorativo: avevo davanti a me come una specie di bilancia ideale, dove su uno dei piatti era appoggiata tutta la mia vita precedente fatta di studi, fatiche ed esperienze e la prospettiva di una carriera promettente; sull’altro, niente di tutto questo, solo una domanda: «Mi ami tu più di costoro?»
Feci la mia scelta.
Ed eccomi qua.
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